Alimentazione: mangiando pesci e carne da allevamenti intensivi si rischia di assumere quantità elevate di antibiotici
In Italia se parla ben poco
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Solo sporadicamente se n’è sentito parlare sui media nostrani ma il rischio di assumere antibiotici a go go in conseguenza del consumo di carne e pesce provenienti da allevamenti intensivi è più di una preoccupante possibilità, della quali i consumatori italiani non ne hanno la consapevolezza.
La ragione per cui gli allevatori, specie i proprietari di allevamenti intensivi, utilizzano tali tipi di farmaci sta nella circostanza che polli, conigli, pecore, maiali, mucche, ma anche pesci, e così via, chi più chi meno, hanno comunque un sistema immunitario fortemente depresso a causa delle loro terribili condizioni di vita: spazi limitatissimi, luce continua 24 ore al giorno, alimentazione forzata, e maltrattamenti vari derivanti dalla meccanizzazione. Chiaramente lo stress cui sono sottoposti li rende irrimediabilmente soggetti a malattie il cui solo rischio “costringe” l’allevatore all’utilizzo di antibiotici per scopi non terapeutici e quasi in funzione preventiva.
Alcuni studi, sono arrivati a stabilire che per ogni kilo di carne prodotta negli allevamenti vengono impiegati in media 100mg di antibiotici. Questo vuol dire che, sulla base dei dati sul consumo medio di carne pari a 87 kg di carne ogni anno pro capite, ogni italiano medio assume involontariamente quasi 9 grammi di antibiotici, che costituiscono l’equivalente della somministrazione di circa 4 terapie antibiotiche all’anno.
Guardando le stime sui dati aggregati dell’intera Unione Europea, in tutta l’area vengono usate ben 5.000 tonnellate di antibiotici nella zootecnia. La sola Germania, che nel 2011 ha pubblicato statistiche ufficiali sul punto ne ha registrato l’utilizzo di ben 1.784 tonnellate.
È evidente, quindi, che l’uso massiccio di tali tipi di farmaci anche a piccole dosi per animale può essere causa dello sviluppo di ceppi batterici sempre più resistenti alle cure. Tant’è che l’Efsa (European Food Security Authority), l’Autorità alimentare europea, ha affermato che i cibi di origine animale possono trasmettere all’uomo batteri di tale tipo.
Il consumo continuo di carne e la conseguente assunzione di questi medicinali possono essere causa a lungo andare di disturbi intestinali cronici e l’inefficacia degli antibiotici quando nei casi necessari con il non irrilevante rischio di non riuscire a guarire dalle patologie trasmesse da questi batteri. Tra i vari tipi di batteri che sono diventati resistenti agli antibiotici sono stati studiati: la Salmonella typhimurium e parathyphimurium (l’infezione si trasmette con le uova e la carne, soprattutto avicola e suina), lo Staphylococcus aureus, Campylobacter coli e jejuni e la temibilissima Escherichia coli di cui un ceppo divenuto particolarmente resistente provoca colite emorragica e insufficienza renale. La contaminazione del cibo (carne e latte bovino) avviene attraverso le feci dell’animale, ma anche tramite l’acqua. Il maggior fattore di rischio è rappresentato dal consumo di carne macinata di manzo cruda o poco cotta (hamburger disease), ma è stata isolata anche in carni di pollo, agnello e maiale.
Al di là dei vari tipi di pratiche utilizzate nell’allevamento degli animali, che riteniamo in molti casi censurabili sia sotto il profilo della liceità che dell’etica, per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, l’impiego di sostanze naturali in sostituzione dei farmaci, può essere certamente considerato “innovativo” per tutti gli animali cosiddetti “da reddito”. Vi è da dire che un interesse in tal senso è stato determinato da risultati positivi ottenuti in sperimentazioni tenutesi anche nel nostro Paese ma non ha ancora avuto la diffusione che meriterebbe anche per l’inefficacia di campagne informative in tal senso da parte di Regioni e ministeri dell’Agricoltura e della Salute.
Va da sé che la riduzione del consumo di carni nella nostra dieta può senz’altro contribuire ad un miglioramento della nostra salute anche in chiave preventiva oltreché evitare a priori il rischio di un’assunzione eccessiva di antibiotici ed altre sostanze chimiche.