Batteri o airguns? Chi sta uccidendo i cetacei dei nostri mari?
In un mese 35 esemplari spiaggiati sul solo Tirreno
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L&\#39;Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana ha reso noto che da gennaio al 10 febbraio scorsi lungo le coste italiane si sono verificati diversi casi di spiaggiamento di delfini, per lo più nella parte meridionale del litorale della Toscana, le isole Elba e Pianosa. Analoghi spiaggiamenti sono avvenuti lungo l&\#39;intera costa Tirrenica: 15 in Toscana, 10 nel Lazio e 10 in Campania. Altri delfini quest’estate erano stati trovati spiaggiati lungo il tratto di costa compreso tra Savelletri e la marina di Monopoli, a ridosso del museo archeologico degli scavi di Egnazia. In questo casi gli esemplari presentavano la fuoriuscita dalla bocca di un liquido nero e denso. La causa più probabile, sempre secondo fonti sanitarie, sarebbe di natura infettiva poiché in sei esemplari è stata rinvenuta traccia di un batterio, Photobacterium Damselae, che può portare a sindrome emolitica e lesioni ulcerative. Come di consueto, quando accadono fatti analoghi il ministero dell&\#39;Ambiente si è affrettato a comunicare che dalle prime indagini sembra di poter escludere eventi eccezionali causati dall&\#39;uomo, come sversamenti di petrolio o di sostanze inquinanti omettendo di ricordare che lungo le Nostre coste diverse multinazionali hanno avviato indagini strumentali per la ricerca di fonti fossili con l’utilizzo di apparecchiature a dir poco invasive per l’habitat naturale delle specie endemiche. Ancora una volta, però Giovanni D&\#39;Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, esprime forti dubbi circa la serie incessante e incontrollata serie di spiaggiamenti e morti di cetacei. Basti ricordare, la vicenda dei capodogli piaggiati a Foce Varano sul Gargano o di altri cetacei trovati morti o in agonia e per i quali ad oggi risultano essere scarse o inesistenti le notizie circa gli accertamenti effettivi sulle cause dei decessi. Come se i governi che si sono succeduti negli ultimi cinque anni e quindi quello Berlusconi e quello Monti, assolutamente favorevoli all’avvio di una politica energetica volta allo sfruttamento di idrocarburi sotto le nostre coste, abbiano volutamente occultato al pubblico ogni informazione circa i presumibili danni ambientali, ed in particolare quelli alla fauna, connessi alle ricerche e all’estrazione di petrolio e gas naturale nelle nostre acque costiere. Va ricordato, in tal senso, che questi innocui animali hanno organi particolarmente sensibili, che vengono disorientati, danneggiati o distrutti dalle alte frequenze o dai forti rumori provocati dalle apparecchiature comunemente utilizzate dall’uomo per la ricerca di idrocarburi ed in particolare i famigerati airguns e i sonar. È scientificamente provato che l’utilizzo di questi dispositivi di localizzazione - che, trainati da apposite navi, emettono suoni per via dell’introduzione nella colonna d’acqua di aria ad altissimi livelli di pressione: l’eco di questi suoni, riflessa dal fondale, rivela presenza, profondità e tipologia del giacimento - possa provocare, in alcune specie, in particolare nei cetacei, oltre al già grave effetto di mascheramento, anomalie nel comportamento, perdita temporanea o permanente dell’udito, lesioni gravi e, in alcuni casi, persino la morte. Per tali ragioni, Giovanni D&\#39;Agata, con estrema preoccupazione, riporta ancora una volta alla ribalta nazionale questa carneficina e chiede chiarezza alle istituzioni circa queste “inspiegabili” morti, ribadendo l’assoluta contrarietà dello “Sportello dei Diritti” ad una politica nazionale energetica che privilegi lo sviluppo e lo sfruttamento delle attività connesse alle fonti fossili, piuttosto che investire in quelle rinnovabili a ridottissimo o inesistente impatto ambientale.