CASSAZIONE CIVILE Malato immaginario? Non basta che abbandoni il posto di lavoro perché sia licenziato
Per il "118" sta bene, ma lui va a casa: invece che farlo pedinare bisognava mandargli la visita fiscale
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«Sto male e devo andare a casa»: il casellante lamenta la dolorosa rottura di una corona dentaria. Sul posto di lavoro, la tangenziale di Napoli, arriva perfino un'ambulanza: per i sanitari il lavoratore potrebbe ben continuare il servizio. Ma il dipendente della società che gestisce il servizio non ci sta e preferisce andarsene. Anzi, si fa refertare il malessere al pronto soccorso e rilasciare un certificato dal medico di famiglia. Subito i suoi capi fanno ricordano di avergli negato un paio di giorni di ferie proprio per quel periodo e lo fanno seguire da un investigatore privato: dopo un po' lo beccano sul palco di un teatro mentre partecipa a una serie di recite amatoriali. Immediato il licenziamento disciplinare. Ma attenzione: scatta la reintegra, perché dalla lettera di contestazione dell'addebito alla difesa giudiziale l'azienda cambia le carte in tavola. Recesso illegittimo, insomma. È quanto emerge da una sentenza emessa dalla sezione lavoro della Cassazione.
Difesa violata
Il brillante casellante napoletano riesce a sfuggire al licenziamento per il rotto della cuffia. È vero: il dipendente abbandona il servizio senza autorizzazione dei dirigenti, ma non risulta tuttavia che il permesso gli sia stato negato. Anzi. Costituitasi in giudizio, l'azienda cambia versione rispetto alla lettera di addebito al dipendente, tacendo l'episodio dell'ambulanza e sostenendo che l'abbandono del posto di lavoro fosse avvenuto a totale insaputa dei responsabili; cosa che appare improbabile, dato il vistoso intervento del "118", ma che soprattutto aggrava indebitamente le censure mosse a carico del licenziato. Risulta dunque violato il principio di immutabilità della contestazione posto a garanzia del diritto di difesa dell'incolpato. L'azienda che ufficialmente nulla sa dell'abbandono del posto di lavoro si attiva invece immediatamente per il pedinamento: avrebbe fatto meglio invece, si legge nella sentenza, ad attivare i controlli di legge chiedendo l'intervento del medico fiscale. Alla società, insomma, non resta che reintegrare l'attore dilettante (ma non troppo).