Cassazione: condannato per minacce e ingiuria il datore di lavoro che si rivolge al dipendente con l'espressione "ti farò schiattare".Lo stabilisce la sentenza 22816/11, pubblicata l'8 giugno dalla quinta sezione penale della Cassazione.

La dipendente rifiuta di sottoscrivere una lettera di dimissioni e il datore di lavoro le prospetta un trattamento sistematicamente vessatorio pronunciando le espressioni "sei una vergognosa" e "ti farò schiattare".

sentenza n. 22816 dell'8 giugno 2011

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In merito alla rilevanza penale di tali espressioni, precisa che, contrariamente a quanto sostenuto dal datore di lavoro - secondo il quale l'espressione utilizzata non poteva costituire reato di minaccia visto il significato incerto del verbo "schiattare"-, "l'espressione «ti farò schiattare» non solo è di uso comune ma è riportata su tutti i dizionari della lingua italiana con l'inequivoco significato «ti farò crepare»". Quel foglio spiegazzato prodotto in giudizio la dice lunga sulle intenzioni illecite del datore, cioè obbligare la ragazza a far fagotto: si tratta di una lettera di dimissioni che tuttavia la giovane non ha alcuna intenzione di sottoscrivere. E allora il maturo titolare agita lo spettro del mobbing: come a dire che avrebbe reso la vita impossibile alla dipendente intenzionata a proseguire nel rapporto di lavoro. Inutile per il datore invocare un presunto malinteso sulle sue parole: «Ti farò schiattare», osservano i giudici, è espressione di uso comune che significa «ti farò crepare», come confermano tutti i dizionari della lingua italiana. Insomma: la condotta del "principale" integra senz'altro il reato di minacce, prospettando alla dipendente un trattamento sistematicamente vessatorio nell'eventuale prosecuzione del rapporto. Ineccepibile anche la condanna per ingiurie: «Sei vergognosa» è indubbiamente un'espressione offensiva e rilevante sul piano penale. Il datore paga anche 500 euro alla cassa delle ammende.

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sentenza n. 22816 dell'8 giugno 2011

sentenza n. 22816 dell'8 giugno 2011

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