Cassazione Lavoro:l'impiegata insulta il capo? NO al licenziamento per un insulto episodico
Un'offesa episodica non può dare origine il licenziamento per giusta causa.
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Mandare a quel paese il capo si può. Purché avvenga una tantum. Lo ha stabilito la sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza 8 febbraio 2011, n. 3042 con la quale ha confermato la decisione con cui i giudici di merito avevano disposto la reintegrazione sul posto di lavoro di una donna che era stata licenziata per asserita "giusta causa" per aver, episodicamente, pronunciato frasi offensive nei confronti del superiore gerarchico.La c.d. giusta causa di licenziamento viene considerata come quel fatto che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro; trattasi di una nozione che la legge configura con una disposizione (art. 2119 c.c.) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che necessita di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni, relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.L'orientamento giurisprudenziale più recente ritiene che, al fine di stabilire l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, occorra valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale e, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare, in tema di licenziamento dovuto ad insulti rivolti dal dipendente al dirigente, la Cassazione ha avuto modo di ritenere legittimo tale provvedimento anche se l'espressione irriguardosa (nella specie "delinquente") sia stata pronunciata in un contesto particolarmente animoso come quello di un'accesa assemblea sindacale.Tornando al caso di specie, secondo gli ermellini sebbene il comportamento della dipendente dovesse essere considerato grave, il suo carattere episodico ancorato alla mancanza di analoghi precedenti, facevano ritenere gli illeciti contestati alla donna, in definitiva, non di tale gravità da giustificare il licenziamento per giusta causa.Gli avvocati dell'azienda puntavano a dimostrare che le intemperanze della dipendente meritassero il licenziamento disciplinare. Ma la Suprema Corte ha respinto il ricorso, sottolineando che la sentenza impugnata «è particolarmente diffusa per escludere che quei fatti, in via generale punibili con sanzione conservativa, ricoprissero quel carattere di particolare gravità che giustificherebbe il licenziamento».