Conversione del permesso di soggiorno per motivi religiosi in motivi di lavoro
Sommario: • Il fatto • Permesso di soggiorno per motivo religiosi: requisiti • Commento alla sentenza Tar Lazio n.1206 del 06 febbraio 2009
Dettagli della notizia
Accade spesso casi di suore straniere che entrano in Italia con permesso di soggiorno per motivi religiosi e che offrono anche prestazioni lavorative come infermiere professionali. Una svolta deciso di abbandonare l’abito religioso, la suora propone ricorso al Tribunale amministrativo a fronte del diniego di conversione del suo permesso di soggiorno per motivi religiosi in uno per motivi di lavoro. Il Giudice amministrativo nonostante il permesso di soggiorno per motivi religiosi non è tra quelli espressamente contemplati nell’art. 14 del D.P.R. n. 394/99, per i quali è consentita la conversione, accoglie il ricorso sostenendo che la norma non può interpretarsi nel senso che solo le menzionate tipologie di soggiorno possano essere oggetto di conversione.
Sommario:
• Il fatto
• Permesso di soggiorno per motivo religiosi: requisiti
• Commento alla sentenza Tar Lazio n.1206 del 06 febbraio 2009
Il fatto
Una suora indiana ha deciso di lasciare l’ordine di appartenenza e dedicarsi esclusivamente alla professione di infermiera, avendo sempre lavorato in questo settore con regolari contratti di lavoro. Per questo motivo ha presentato richiesta di conversione del permesso di soggiorno da motivi religiosi a lavoro.
La Questura non ha accolto la richiesta sul presupposto che modificato dal D.P.R. 334/2004 non contempla la conversione del permesso di soggiorno per motivi religiosi in permesso di soggiorno per lavoro.
Da qui un ricorso al Tar di Roma che, invece, ha fornito una differente interpretazione della legge.
Per i Giudici Amministrativi, “l’art. 14 del D.P.R. n. 394/1999, nell’indicare le attività consentite in relazione ai permessi di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, di lavoro autonomo, familiari e di studio, espressamente consente la conversione di tali permessi di soggiorno per l’attività effettivamente svolta. La predetta disposizione, tuttavia non può interpretarsi, come operato dall’amministrazione, nel senso che soltanto le menzionate tipologie di permesso di soggiorno possano essere oggetto di conversione e, conseguentemente, che per quelle non espressamente ivi richiamate tale conversione non sarebbe consentita.” Quindi in assenza di una espressa esclusione, la disposizione in esame non può che essere interpretata alla luce della generale previsione di cui all’art. 5, comma 5, del d.lgs. 25.7.1998, n. 286, secondo la quale “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati…sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili”, ovviamente nel rispetto delle quote di ingresso per le attività lavorative, salvo che per le attività lavorative di cui all’art. 27 del d.lgs. n. 286/1998 specificamente disciplinate dal regolamento di attuazione, tra le quali quelle di “infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche e private” indicate all’art. 1, comma 1, lett. r-bis dello stesso art. 27, come nel caso in esame.
Permesso di soggiorno per motivo religiosi: requisiti
I requisiti e le condizioni per l&\#39;ottenimento del visto di ingresso per motivi religiosi previsti dallo stesso decreto sono i seguenti:
a) l&\#39;effettiva condizione di "religioso";
b) documentate garanzie circa il carattere religioso della manifestazione o delle attività addotte a motivo del soggiorno in Italia.
c) nei casi in cui le spese di soggiorno dello straniero non siano a carico di enti religiosi, l&\#39;interessato deve disporre di mezzi di sussistenza non inferiori all&\#39;importo stabilito dal Ministero dell&\#39;interno con specifica Direttiva si richiede la dimostrazione di mezzi di sostentamento di entità identica a quella prevista per il rilascio dei visti di ingresso per turismo.
Quindi il religioso può fare ingresso nel nostro Paese ai religiosi stranieri, intesi come coloro che abbiano già ricevuto ordinazione sacerdotale, o condizione equivalente, religiose, ministri di culti appartenenti ad organizzazioni confessionali iscritte nell&\#39;elenco tenuto dal ministero dell&\#39;interno, che intendano partecipare a manifestazioni di culto o esercitare attività ecclesiastica, religiosa o pastorale.
In relazione al rilascio del visto per motivi religiosi, bisogna distinguere tra:
A) Visto di ingresso per motivi religiosi di durata inferiore a 90 giorni: è un visto Schengen
uniforme (V. S.U.) o un visto nazionale (V. N.) ed è rilasciato, per un soggiorno di breve o di lunga durata, ai ministri di culti stranieri - che abbiano già ricevuto ordinazione sacerdotale o condizione equivalente - appartenenti ad organizzazioni confessionali iscritte nell’elenco predisposto dal Ministero dell’Interno, per l’espletamento della loro attività religiosa o pastorale
B) Visto di ingresso per motivi religiosi di durata superiore a 90 giorni: è un visto nazionale (V. N.) allo straniero che esibisca:
1) documentazione comprovante l’effettiva condizione di religioso;
2) documentate garanzie circa il carattere religioso della manifestazione o delle attività addotte a
motivo del soggiorno;
3) titolo di viaggio;
4) mezzi di sostentamento o, qualora le spese di soggiorno siano a carico di un Ente religioso,
un’idonea dichiarazione dell’Ente stesso;
5) invito e/o dichiarazione dell’Ente religioso, vistata, se si tratta di cattolico, dalla Segreteria di Stato della Santa Sede o dalla Nunziatura apostolica presente nel Paese di provenienza dello straniero.
La competenza al rilascio dei visti emessi dalla Repubblica Italiana spetta al Ministero degli Affari Esteri ed alla sua Rete degli Uffici diplomatico-consolari abilitati, che restano responsabili dell&\#39;accertamento del possesso e della valutazione dei requisiti necessari per l&\#39;ottenimento del visto stesso, che verrà rilasciato dalla Rappresentanza territorialmente competente per il luogo di residenza dello straniero.
Per il rilascio di un Visto Schengen Uniforme (transito o breve soggiorno), competente al rilascio è la Rappresentanza di quello degli Stati Schengen presenti sul posto che costituisce la meta unica o principale del viaggio. Ove non sia possibile individuare – tra le eventuali varie tappe del viaggio – una meta principale, competente al rilascio sarà la Rappresentanza dello Stato Schengen di primo ingresso. Per il rilascio di un Visto Nazionale (lungo soggiorno) competente al rilascio è la Rappresentanza di quello degli Stati Schengen presenti sul posto che costituisce la destinazione di lungo soggiorno del cittadino straniero. Qualora lo Stato Schengen competente al rilascio del visto non abbia una propria Rappresentanza diplomatica o consolare nel Paese di residenza dello straniero, il Visto Schengen Uniforme può essere rilasciato dalla Rappresentanza diplomatica o consolare di un altro Stato Schengen che lo rappresenti. Non è invece prevista delega per il rilascio di Visti Nazionali. In caso di assoluta necessità ed urgenza, il visto per transito o per breve soggiorno può essere rilasciato direttamente dalle Autorità di Frontiera.
I termini per il rilascio del visto d’ingresso sono stati definiti dall’art. 5, c. 8 del DPR del 31.8.1999, n. 394 (così come modificato dal D.P.R. 334/2004), il quale stabilisce che la Rappresentanza diplomatico-consolare, “valutata la ricevibilità della domanda ed esperiti gli accertamenti richiesti in relazione al visto richiesto, ivi comprese le verifiche preventive di sicurezza, rilasci il visto entro 90 giorni dalla richiesta” (30 gg. per lavoro subordinato, 120 per lavoro autonomo). Ai sensi di quanto previsto dall’art. 6, cc. 2 e 3 del D.M. del 3 marzo 1997, n. 171.
La contraffazione di documenti prodotti da cittadini stranieri al fine dell’ottenimento di un visto d’ingresso sarà sempre denunciata dalla Rappresentanza diplomatico-consolare (art. 331 del C.P.P.) all’Autorità Giudiziaria italiana: sia nei casi di contraffazione di documentazione di origine italiana, sia di documentazione di origine straniera, comunque utilizzata a sostegno della domanda di visto.
Di norma non vi è da parte degli stranieri "diritto" all&\#39;ottenimento del visto, ma tutt&\#39;al più un semplice "interesse legittimo". L&\#39;art.4, comma 2 del T.U. 286/1998, integrato dalle ultime modifiche legislative prevede che " il diniego del visto non deve essere motivato, salvo quanto riguarda le domande di visto presentate ai sensi degli articoli 22, 24, 26-29, 36 e 39 dello stesso T.U. (che riguardano le richieste di visto per lavoro, ricongiungimento familiare, cure mediche e studio). Il provvedimento di diniego deve essere comunicato all&\#39;interessato in lingua a lui comprensibile o, in mancanza,in inglese, francese, spagnolo o arabo. Contro il diniego di un visto può essere presentato un ricorso al T.A.R. del Lazio entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento. Solo nel caso di dinieghi di visto per ricongiungimento familiare o familiare al seguito, gli eventuali ricorsi potranno essere presentati presso il Tribunale ordinario competente". Il possesso del visto non garantisce in assoluto l&\#39;ingresso al cittadino straniero, poiché l&\#39;Autorità di frontiera lo può respingere se privo di mezzi di sostentamento e non in grado di fornire esaurienti indicazioni circa le modalità del proprio soggiorno in Italia, o per ragioni di sicurezza e ordine pubblico.
Allo straniero titolare di visto per motivi religiosi può essere rilasciato uno specifico permesso di soggiorno.
Infatti i visti di ingresso per motivi religiosi che siano stati rilasciati soltanto per la partecipazione ad una manifestazione religiosa che si svolga in Italia possono dar luogo al rilascio di uno specifico permesso di soggiorno soltanto nei casi in cui tale manifestazione duri più di 8 giorni lavorativi dalla data di ingresso dello straniero o, più esattamente più di 30. Pertanto, dal punto di vista pratico, la domanda per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi religiosi deve essere presentata presso gli uffici postali abilitati.
I documenti da esibire agli uffici sono:
1. istanza compilata e sottoscritta dall&\#39;interessata;
2. fotocopia di tutto il passaporto o di altro documento equipollente;
3. dichiarazione del responsabile della comunità religiosa in Italia, attestante la natura dell&\#39;incarico ricoperto, l&\#39;assunzione dell&\#39;onere del vitto e alloggio, vistato dalla curia vescovile o da equivalente autorità religiosa presente in Italia;
4. fotocopia della polizza assicurativa, valida nel territorio nazionale per tutto il periodo di validità del permesso di soggiorno richiesto, contro il rischio di malattia e infortuni.
Anche per il permesso di soggiorno per motivi religiosi varrà quanto stabilito dall’art. 1, comma 25, della L. 15 luglio 2009, n. 94 , in materia di Accordo di integrazione. In tal senso è prevista la sottoscrizione, da parte dello straniero, contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno di un Accordo di integrazione, articolato per crediti, con l&\#39;impegno a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione, da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno. La stipula dell&\#39;Accordo di integrazione rappresenterà condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno. La perdita integrale dei crediti determinerà la revoca del permesso di soggiorno e l&\#39;espulsione dello straniero dal territorio dello Stato.
Il rinnovo del permesso può essere richiesto entro la scadenza al Commissariato del luogo dove dimora presentando:
- copia del permesso di soggiorno;
- quattro foto formato tessera;
- marca da bollo;
- la dichiarazione di conferma e durata dell’attività della comunità religiosa di appartenenza.
La cessazione dell’aggregazione o affiliazione presso l’ordine religioso comporta l’impossibilità di rinnovo del permesso di soggiorno.
Il cittadino straniero che intende venire in Italia per diventare religioso dovrà un visto per studio e non un visto per motivi religiosi.
Commento alla sentenza Tar Lazio n.1206 del 06 febbraio 2009
Adito il TAR, questi accoglie il ricorso ritenendolo fondato per i motivi che ora verranno esaminati. In primis falsa applicazione dell’art.5 del Decreto Legislativo. 25.7.1998, n. 286 e dell’art. 14 del D.P.R. 31.8.1999, n. 394.
Al riguardo, il Collegio osserva che il citato art. 14 del D.P.R. n. 394/1999, nell’indicare le attività consentite in relazione ai permessi di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, di lavoro autonomo, familiari e di studio, espressamente consente la conversione di tali permessi di soggiorno per l’attività effettivamente svolta.
La predetta disposizione, tuttavia non può interpretarsi, come operato dall’amministrazione, nel senso che soltanto le menzionate tipologie di permesso di soggiorno possano essere oggetto di conversione e, conseguentemente, che per quelle non espressamente ivi richiamate tale conversione non sarebbe consentita.
Ciò nella considerazione che, non vi é alcuna espressa esclusione dalla conversione di altre tipologie di permesso di soggiorno diverse da quelle sopra menzionate ed in particolare, con riferimento al permesso di soggiorno per motivi religiosi.
Quanto sopra trova conferma nella considerazione che, allorché il predetto D.P.R. n. 394/1999 ha voluto escludere la possibilità della conversione di un permesso di soggiorno ad un determinato titolo, lo ha espressamente previsto, come nell’ipotesi dei permessi di soggiorno richiamati all’art. 40 dello stesso regolamento, dove all’ultimo comma, ultimo periodo, è espressamente disposto che “I permessi di soggiorno rilasciati a norma del presente articolo non possono essere convertiti, salvo quanto previsto dall&\#39;articolo 14, comma 5”, tra i quali non è ricompreso quello per motivi religiosi.
Quindi, in assenza di una espressa esclusione, la disposizione in esame non può che essere interpretata alla luce della generale previsione di cui all’art. 5, comma 5, del d.lgs. 25.7.1998, n. 286, di cui la ricorrente nel secondo motivo deduce la violazione, secondo la quale il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio e che non si tratti di irregolarità amministrative sanabili, ovviamente nel rispetto delle quote di ingresso per le attività lavorative, salvo che per le attività lavorative di cui all’art. 27 del d.lgs. n. 286/1998 specificamente disciplinate dal regolamento di attuazione, tra le quali quelle di infermieri professionali assunti presso strutture sanitarie pubbliche e private indicate all’art. 1, comma 1, lett. r-bis dello stesso art. 27, come ne caso di specie.
Il citato art. 5, comma 5, infatti, consentendo il rilascio del richiesto rinnovo del permesso di soggiorno per motivi diversi da quelli che avevano sorretto l’originario permesso di soggiorno, senza porre al riguardo alcuna limitazione in ordine ai motivi del suo rilascio, costituisce ulteriore dimostrazione dell’assenza di preclusioni alla conversione dei permessi di soggiorno diversi da quelli richiamati nell’art. 14 del D.P.R. n. 394/1999, salvo, ovviamente, quelli per i quali tale preclusione sia espressamente prevista.
Nella specie i nuovi elementi di cui al citato art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998 sono rinvenibili nella circostanza, peraltro sinteticamente richiamata nello stesso provvedimento impugnato, che la ricorrente (la ex suora ora lavora come infermiere) in vigenza del permesso di soggiorno per motivi religiosi svolgeva regolare attività lavorativa come infermiera professionale in base a contratto di lavoro subordinato comunicato agli organi competenti.
A tale stregua l’impugnato provvedimento, essendo stato adottato sul presupposto di una inesistente preclusione assoluta alla conversione del permesso di soggiorno per motivi religiosi, risulta illegittimo per errata interpretazione dell’art. 14 del D.P.R. n. 394/1999 e per violazione dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286/1998. In conclusione e per quanto sopra argomentato, il ricorso va accolto, in accoglimento delle sopra esaminate censure e, per l’effetto, l’impugnato diniego va annullato, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.