Donna italiana "prigioniera" in Arabia Saudita
Fallito il suo matrimonio, Chiara Invernizzi viene ripudiata dal marito che le nega il consenso all'espatrio, secondo la legge islamica. Intervenga il Ministero degli Esteri
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Lo “Sportello dei Diritti” ha sempre dimostrato di rispettare ed anzi di incentivare la tutela delle usanze e le tradizioni degli altri paesi quando queste non vanno a ledere i diritti fondamentali della persona. Ma nel caso che abbiamo appreso a seguito di una segnalazione pervenutaci dalla Svizzera e che di seguito riportiamo chiedendo un intervento del Ministero degli Affari Esteri è manifesta la violazione di quello inviolabile della libertà personale.
Una vera e propria odissea quella della quarantenne Chiara Invernizzi, che da cinque anni vive in Arabia Saudita, a Jedda dopo aver sposato un uomo del luogo. L’epilogo del suo matrimonio, secondo il suo racconto è drammatico, ma ciò che più colpisce è che dopo essere stata ripudiata dallo scorso ottobre, gli è impedito tuttora il rientro in Italia.
Il marito, infatti, come vuole la legge e la tradizione islamica, è tutore legale della moglie e per una lamentata mancata restituzione di una somma di denaro originariamente prestata alla donna, sta continuando a trattenerne il passaporto tanto da costringerla nei fatti a continuare a vivere nella città araba con il padre che ha 72 anni e che l’accompagna perché, come è noto, una donna non può uscire e guidare da sola, mentre la madre che viveva con loro è riuscita a rientrare grazie all’intervento del consolato italiano.
Secondo la legge islamica applicata tuttora nel paese della penisola arabica, alla donna anche di nazionalità diversa non è concesso il diritto all’espatrio, persino nel proprio paese d’origine, senza il benestare del marito nella qualità di proprio tutore legale, così come allo straniero che dipende da uno sponsor che può essere solo di nazionalità saudita e che in quanto tale ha il diritto d’impedire di lasciare il paese. A nulla è valso infatti, il rilascio di un nuovo passaporto da parte del consolato italiano sia per lei che per il padre dopo che avevano dovuto lasciare il proprio passaporto all’ex marito per il visto di uscita obbligatorio da parte del tutore legale.
Senza entrare nel merito della vicenda strettamente personale è chiaro che se la donna ed il padre hanno richiesto di rientrare nella propria patria senza peraltro che risultino essere accusati di alcun reato nel paese arabo, non stanno facendo altro che cercare di esercitare una propria prerogativa che è anche un diritto sacrosanto della persona che non può essere leso da alcuna legge nazionale.
Per tali ragioni, Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti” dopo aver appreso della drammatica vicenda rivolge un accorato appello alla Farnesina affinché attivi tutti i canali diplomatici per consentire l’immediato reingresso in Italia della donna e del padre.