Ennesimo suicidio in cella. Ma arriva la Cassazione con una sentenza in data odierna
La guardia carceraria risponde di omicidio colposo in caso di suicidio del detenuto.
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Proprio oggi le cronache italiane riportano la notizia del decimo detenuto suicidatosi in cella. Un ventunenne a San Vittore, la cui morte si va a sommare alle ventiquattro complessive dall’inizio di gennaio nelle carceri italiani. Un vero e proprio bollettino di guerra che riguarda un fenomeno cui sembra non si riesca a trovare rimedio.
E proprio nella giornata di oggi arriva una sentenza della Cassazione penale importantissima che per Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti” appare come un vero e proprio monito nei confronti dell’amministrazione carceraria. Secondo il principio espresso dai supremi giudici, risponde di omicidio colposo la guardia carceraria nel caso di suicidio del detenuto in cella. La decisione, la numero 6744 emessa dalla quarta sezione penale della Suprema Corte proprio nella giornata odierna, ha ritenuto infondato e rigettato il ricorso di un’agente di polizia penitenziaria che, durante il suo turno di sorveglianza a vista nei riguardi di una detenuta, non si era accorta del suicidio della donna.
Nel caso di specie, la prima addetta alla sorveglianza era stata rinviata a giudizio dinanzi al tribunale monocratico di Roma per i reati stabiliti agli articoli 41 e 589 C.p per rispondere della morte di una detenuta, che era accaduta nel carcere romano di Rebibbia, in conseguenza di asfissia meccanica da impiccamento. La custode era stata incaricata alla sorveglianza a vista della donna ma in realtà non ha effettuato il servizio affidatole.
I giudici di piazza Cavour hanno appurato nella condotta della guardia un&\#39;omissione di diligenza ed hanno ritenuto irrilevante la contestazione dell’imputata che ha richiamato il principio di casualità del reato omissivo, tenendo conto delle modalità di esecuzione del suicidio, ossia su una sponda del letto non visibile dallo spioncino. Inoltre, va precisato che nel caso in questione la disposizione della sorveglianza a vista era stata impartita proprio in previsione di iniziative estemporanee e pericolose della detenuta e per evitare comportamenti autolesionistici: pertanto è stata esclusa l’imprevedibilità del gesto.
Secondo Giovanni D’Agata, la sentenza in questione oltreché a costituire un importante precedente rappresenta un ulteriore invito al Ministero di Giustizia ad attivare tutte le misure possibili a tutela della dignità dei detenuti.