Errori giudiziari, in carcere ingiustamente per 33 anni «per non avere commesso il fatto»
Lo hanno deciso i giudici della Corte d'Appello di Roma al termine del processo di revisione
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Dopo 33 anni trascorsi dietro le sbarre, un detenuto accusato della strage del Sinnai del gennaio del 1991 che sosteneva di non aver mai commesso, è stato scarcerato al termine del processo di revisione. L'ex pastore stava scontando una pena all'ergastolo. In precedenza il procuratore generale della Corte di Appello di Roma Francesco Piantoni, nell'ambito del processo di revisione, aveva chiesto l'assoluzione per non avere commesso il fatto, per Zuncheddu, l'ex allevatore sardo da 33 anni in carcere per l'accusa di essere l'autore della strage di Sinnai (Cagliari) dell'8 gennaio del 1991 in cui morirono tre pastori. «È la fine di un incubo». Così si è espresso Zuncheddu dopo la decisione della corte d'appello. La sentenza è stata accolta da un lungo applauso. Assoluzione è stata decisa con la formula «per non avere commesso il fatto». Nel processo di revisione il giudice ha quindi stabilito che non ci sono prove contro di lui e lo ha liberato. Per Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è il caso che, dimostra come l’infallibilità dei giudici non è che un mito poichè gli uomini sono condannati all’errore, e i giudici, sono uomini. L’errore giudiziario diventa sempre meno un episodio isolato per diventare un fenomeno collettivo, che può minacciare qualsiasi individuo del corpo sociale. La fretta nelle indagini, l’eccessiva fiducia accordata ai testimoni non sempre attendibili, la troppa importanza data alle presunzioni di colpevolezza e agli indizi sono tra i fattori che predispongono all’errore, ai quali va ad aggiungersi la pressione esercitata dall’opinione pubblica che desidera ad ogni costo trovare un colpevole, anche in mancanza di certezze irrefutabili. Come in questo caso, dove pur tardivamente, Beniamino Zuncheddu, ha avuto la fortuna di imbattersi in un giudice capace di affermare la verità dopo anni di carcere, certificando così un errore che si poteva e che si doveva evitare prima.