Facebook: non sempre costituisce reato l’offesa scritta in bacheca
Nuovo orientamento della Cassazione penale secondo cui postare un commento offensivo su Facebook non integra reato se il destinatario è online. La previsione del reato di diffamazione scatta quando la comunicazione a distanza è indirizzata ad altre persone più l’interessato, mentre la presenza virtuale della vittima integra l’ingiuria ormai depenalizzata
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Postare un commento offensivo sulla bacheca di facebook non sempre integra un reato. E ciò perché, nonostante l’evoluzione tecnologica, non sono cambiati i criteri per distinguere la diffamazione dall’ingiuria commessa alla presenza di più persone, che è stata depenalizzata con l’abrogazione dell’articolo 594 Cp ad opera del decreto legislativo 7/2016. Ed è proprio la presenza, pur se virtuale, il fattore discriminante fra le due fattispecie anche ai tempi di Internet. Se ad esempio l’offesa viene pronunciata durante una riunione online quando sono collegate più persone contestualmente, compreso il destinatario delle contumelie, si verifica la fattispecie depenalizzata. Nel caso del social network blu, quindi, bisogna verificare se la persona offesa online al momento in cui l’imputato scrive le frasi incriminate. È quanto emerge dalla sentenza 44662/21, pubblicata il 2 dicembre dalla quinta sezione penale della Cassazione.Il ricorso dell’imputato è accolto contro le conclusioni del sostituto procuratore generale, che addirittura chiedeva l’inammissibilità. Trova ingresso la censura che denuncia la partecipazione della persona offesa alla conversazione “incriminata”, avvenuta sulla pagina Facebook di un partito politico (ma su questo, in verità, la ricostruzione del fatto non aiuta). Nell’ordinanza gli Ermellini, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, spiegano come bene hanno fatto i giudici territoriali a rilevare che bisogna adeguare al concetto di presenza virtuale imposto da call e chat i principi tradizionali in materia: l’offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altri soggetti; la contumelia diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria soltanto quando la comunicazione offensiva avviene esclusivamente tra autore e destinatario; si configura invece il reato di diffamazione se la comunicazione “a distanza” è indirizzata ad altre persone oltre all’offeso; idem cale quando l’offesa riguardante un assente risulta comunicata ad almeno due persone presenti o distanti.Nella specie, dunque, il giudice del rinvio deve accertare quale fosse in concreto il funzionamento della chat. E cioè se consentisse soltanto comunicazioni in tempo reale oppure il deposito di messaggi nella casella del destinatario, che l’interessato poteva leggere soltanto collegandosi. Decisiva, poi, la verifica sugli orari dei messaggi per stabilire se il dialogo fra l’imputato e la persona offesa si sia svolto in tempo reale, dunque con la presenza virtuale della parte lesa. Parola al giudice del rinvio.