Il calcolo del valore della rendita vitalizia ai fini dell’imposta di registro è illogico e arbitrario: i dubbi di costituzionalità
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Il dato normativo di riferimento per il calcolo del valore della base imponibile ai fini dell’imposta di registro è l’art. 46 D.P.R. n.131/1986( TUIR).
Precisamente, al comma 1, l’art. 46 citato prevede che “ la base imponibile degli atti costitutivi di rendite è costituita dalla somma pagata o dal valore dei beni ceduti dal beneficiario ovvero, se maggiore, dal valore della rendita”.
Invece, il comma 2 statuisce come si determina il secondo termine del confronto richiesto dal comma precedente (ovvero il “valore della rendita”), prevedendo tre casi differenti:
1) quello della rendita perpetua;
2) quello della rendita a tempo determinato;
3) quello della rendita vitalizia.
Nel contributo de quo, appare opportuno soffermarsi sul caso d’irrazionalità più rilevante, ovvero quello relativo al calcolo del “valore della rendita” nel caso di rendita vitalizia, poiché il parametro utilizzato (lo stesso per l’usufrutto vitalizio) e la nebulosità del calcolo fanno emergere dei profili d’incostituzionalità.
Giova a questo punto, dapprima dare definizione agli istituti della rendita vitalizia e dell’usufrutto vitalizio.
1. La rendita vitalizia
La rendita vitalizia è disciplinata dall’art. 1872 c.c. che, individuandone i modi di costituzione, distingue la rendita costituita a titolo oneroso da quella a titolo gratuito, in modo simile alla rendita perpetua. Orbene, "la rendita vitalizia può essere costituita a titolo oneroso, mediante alienazione di un bene mobile o immobile, o mediante cessione di un capitale.
La rendita vitalizia può essere costituita anche per donazione o per testamento, e in questo caso si osservano le norme stabilite dalla legge per tali atti".
Pertanto, anche il succitato tipo di rendita è di due tipi: tipica e atipica. La prima, quando la fattispecie è tipizzata dal codice civile o da un'altra fonte legislativa; di converso, la rendita atipica non è contemplata in alcun modo dal codice o altra fonte normativa.
Per quanto riguarda la natura della rendita si afferma che è un contratto consensuale, a prestazioni corrispettive, di scambio e di durata e indubbio è anche il carattere personale del diritto del vitaliziato.
Quando il vitaliziante non riceve alcuna controprestazione abbiamo un contratto a titolo gratuito. In alcuni casi il vitaliziato riceve una rendita molto inferiore al reddito che si ricaverebbe dal cespite ceduto; in tal caso, avremo un negotium mixtum cum donatione, oneroso per quanto concerne lo scambio delle prestazioni e, invece, gratuito per quella parte di prestazione del vitaliziante che eccede il valore di quella del vitaliziato.
A differenza della rendita perpetua, quella vitalizia onerosa è considerata da parte della dottrina e dalla prevalente giurisprudenza un contratto aleatorio; difatti, poiché la prestazione è commisurata alla vita di una persona rende impossibile sapere a quanto ammonterà la somma finale versata dal debitore e, quindi, rende impossibile prevedere in anticipo quale contraente riceverà un vantaggio economico dall'operazione. Di converso, quando la rendita è a titolo gratuito il debitore sa già in anticipo che subirà un depauperamento, essendo incerto solo l'effettivo ammontare della somma che verserà; di conseguenza, tale contratto non ha natura aleatoria.
In riferimento all'oggetto della rendita appare opportuno fare un distinguo tra la prestazione del vitaliziato e quella del vitaliziante.
La prestazione del vitaliziante è un diritto di credito classificato come frutto civile (art. 820 comma 3).
L'oggetto di essa può consistere in denaro o altre cose fungibili. Si ammette che possa avere ad oggetto una quota dei frutti del fondo alienato, oppure di altro di fondo ben determinato.
La prestazione del vitaliziato può consistere nella cessione di un bene mobile immobile, o nella cessione di un capitale.
Si ritiene che, oltre al trasferimento della proprietà, sia idoneo anche il trasferimento di un diritto reale limitato o il trasferimento del diritto patrimoniale d'autore. Qualora il vitaliziato ceda un diritto personale di godimento si configura, invece, un contratto atipico.
In riferimento alla forma di tale contratto è richiesta la forma scritta a pena di nullità (art. 1350 n° 10 c.c.).
Ovviamente, al contrario, sarà necessaria una forma diversa se la fonte della rendita richiede particolari requisiti formali (come accade per la donazione o il testamento).
Si precisa, inoltre, che che la rendita vitalizia costituita a favore di un terzo, quantunque importi per questo una liberalità, non richiede le forme stabilite per la donazione (art. 1875 c.c.)
La durata della rendita può essere commisurata alla durata della vita del beneficiario o di altra persona (art. 1873 c.c.). Essa può costituirsi, anche, per la durata della vita di più persone" (articolo 1873) e, in tal caso, abbiamo la cosiddetta rendita congiuntiva. Nella rendita congiuntiva la durata è commisurata a quella delle persona che risulterà più longeva; una particolarità di tale tipo di rendita è che alla morte di uno dei beneficiari sussiste il diritto di accrescimento nei confronti degli altri (salvo patto contrario: art. 1874).
Se la rendita è commisurata alla durata della vita di una persona non nata,il contratto si considera sottoposto alla condizione sospensiva della nascita.
Se manca l'indicazione della persona a cui ci si deve riferire per la durata del contratto, taluno sostiene che la rendita sarebbe nulla per mancanza di un elemento essenziale; altra parte della dottrina, al contrario, osserva che, in tal caso, si applica il principio di conservazione del contratto e, quindi, si dovrà presumere che la durata della rendita sia riferita alla vita del beneficiario.
L'articolo 1876 c.c. stabilisce che: "Il contratto è nullo se la rendita è costituita per la durata della vita di una persona che, al tempo del contratto aveva già cessato di vivere".
Nonostante qualche opinione contraria, non sembra debba ammettersi il vitalizio successivo, per il divieto della sostituzione fedecommissaria (art. 698); di conseguenza, alla morte del testatore la rendita avrà effetto solo a favore di coloro che sono i primi chiamati. La norma è applicabile solo alle disposizioni mortis causa, mentre sarebbe ammissibile il vitalizio successivo costituito per atto inter vivos.
La vita contemplata non può essere quella di una persona giuridica; ciò non esclude che una persona giuridica possa stipulare un contratto di rendita in qualità di vitaliziato o vitaliziante, purché, però, la vita contemplata cui commisurare la rendita sia quella di una persona fisica.
Il pagamento della rendita è dovuta al creditore in proporzione al numero dei giorni vissuti da colui sulla vita del quale è costituita.
Se, di converso, è stato convenuto di pagarla a rate anticipate, ciascuna rata si acquista dal giorno in cui è scaduta (art. 1880 c.c.).
Tale norma è considerata derogabile e, pertanto, le parti possono stabilire modalità diverse di pagamento.
2. L’usufrutto vitalizio
L’usufrutto è un diritto reale e, in particolare, un diritto reale limitato che convive assieme ad un distinto diritto di proprietà su un bene determinato.
Per usufrutto s’ intende il diritto di godere di un bene rispettandone la destinazione economica.
Il codice civile, all’articolo 981, cita: “L’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica. Egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare, fermi i limiti stabiliti in questo capo”.
Non c’è, quindi, una vera e propria definizione di usufrutto, piuttosto la relazione dei diritti dell’usufruttuario.
L’usufrutto vitalizio è, dunque, un istituto di legge che consente di godere della proprietà altrui o, in altre parole, il diritto di utilizzare un bene determinato come se fosse proprio, fino alla fine naturale della vita.
In sostanza l’usufruttuario può godere del bene, e trarne ogni tipo di utilità, secondo la lettera della legge.
L’usufruttuario può utilizzare la cosa, sia che si tratti di una casa (per esempio, sfruttandone il canone di locazione) sia che si tratti di un altro bene (per esempio un campo del quale egli coltiva e utilizza o vende i frutti); ossia, l’usufruttuario gode dei frutti civili e/o naturali del bene.
L’usufrutto può costituirsi per legge; per esempio, l’usufrutto legale sui beni dei figli da parte dei genitori (purché utilizzati per il mantenimento della famiglia).
Si ha, inoltre, l’usufrutto per usucapione, in questo caso si tratta di un acquisto a titolo originario, oppure l’usufrutto per volontà dell’uomo.
L’usufrutto per volontà umana è sicuramente quello più frequente, che si ha qualora un soggetto trasferisca l’usufrutto del bene tramite contratto o tramite testamento. L’usufrutto vitalizio può quindi costituirsi anche per successione.
Come abbiamo detto, il trasferimento dell’usufrutto a un soggetto lascia in capo al proprietario del bene la mera “nuda proprietà”.
Anche laddove costituito per testamento, l’usufrutto vitalizio ha necessariamente durata temporanea: non può, quindi, superare la durata della vita dell’usufruttuario altrimenti, in buona sostanza, il proprietario perderebbe ogni diritto in assoluto di trarre utilità dal bene.
Il de cuius potrà, quindi, aver fissato nel testamento un termine per l’usufrutto; se non l’ha fatto, e parliamo allora di usufrutto vitalizio, al termine della vita dell’usufruttuario tale diritto reale si estingue necessariamente.
Per successione, l’usufrutto può anche essere costituito a favore di più soggetti, cosa che spesso viene specificata nel testamento stesso.
Laddove con la morte di colui che abbia costituito testamento venga a crearsi un diritto di usufrutto in capo a un soggetto, giova sottolineare che il diritto di usufrutto è soggetto a tassazione indiretta.
3. Illegittimi e arbitrari i coefficienti per il calcolo del valore della rendita vitalizia del prospetto allegato al TUR.
Come anzidetto, l’art. 46, co. 2, lett. c) del TUR stabilisce che il valore della rendita si determina, in questo caso, “moltiplicando l’annualità» per il coefficiente indicato nel prospetto allegato al testo unico «applicabile in relazione all’età della persona alla cui morte la rendita deve cessare”.
Precisamente, il prospetto allegato al Testo Unico citato rappresenta un rinvio operato da parte dell’art. 46, co. 2, lett. c) ed è il complesso di questa disciplina (costituita dalla norma richiamante e dal prospetto richiamato) che appare censurabile per i motivi che verranno di seguito esposti.
Appare opportuno mettere in evidenza che nessuna norma stabilisce esplicitamente come il “prospetto” debba essere elaborato; a ogni buon conto, esistono due elementi rilevanti a tal proposito.
Il primo elemento, di carattere meramente logico, attiene al fatto che il valore della rendita non può essere altro che il risultato di due elementi: 1) la stima del numero di annualità che, in relazione all’aspettativa di vita di colui alla cui morte la rendita cessa, il beneficiario della rendita avrà verosimilmente diritto ad avere; 2) la differenza esistente fra la percezione immediata di una somma (quello che si definisce “valore presente”) e la sua percezione in futuro.
Per quanto riguarda il primo elemento, dovrebbe essere di lettura immediata il fatto che per stimare la differenza fra valore presente e valore futuro si deve utilizzare un metodo tale per cui si riconduce al momento presente (ossia quello in cui si effettua la valutazione) un certo numero di pagamenti futuri.
Tale criterio trova conferma nel secondo elemento cui si faceva cenno e ha, di converso, rilevanza normativa.
L’art. 46, co. 2, lett. b) pone come criterio di determinazione della rendita a tempo determinato “il valore attuale” dell’annualità. Tale norma fa, infatti, espresso riferimento alla formula matematica dell’attualizzazione la quale costituisce proprio il metodo matematico utilizzato per ricondurre al momento presente una serie di N pagamenti futuri effettuati a intervalli costanti.
Pertanto, se si tiene in considerazione l’elemento logico e quello normativo summenzionati, si dovrebbe concludere che il “prospetto” sulla cui base si deve determinare il valore presente della serie di annualità future dovrebbe riflettere puntualmente la formula matematica dell’attualizzazione.
Giova, a tal proposito, mettere in evidenza che il problema dell’intellegibilità degli algoritmi è stato affrontato di recente anche dal Presidente nazionale ANTI, Prof. Ragucci, che ha ribadito che l’esercizio effettivo del diritto di difesa è legato alla possibilità di vagliare gli algoritmi.
Questo problema non è oramai futuribile e, difatti, recentemente è stato soggetto al vaglio del Consiglio di Stato con una recente sentenza, la n. 2370/2019.
Nella suddetta pronuncia, i giudici di legittimità hanno precisato che il procedimento amministrativo deve essere caratterizzato dal principio della trasparenza e deve essere analizzabile in fase di giudizio, anche quando sia basato sull’uso di un algoritmo (nel caso esaminato dal Consiglio di Stato la quaestio iuris attiene a una selezione pubblica di docenti fatta attraverso software).
Quanto detto, si attaglia anche al caso in questione, in materia del calcolo attuariale per la determinazione del coefficiente indicato nel citato prospetto allegato per il calcolo dell’imposta di registro per la rendita vitalizia, che non è evincibile e che non permette di esercitare in maniera adeguata il diritto di difesa.
Alla luce di tali considerazioni, occorre analizzare le due questioni di legittimità costituzionale dell’art. dell’art. 46, comma 2, lett. c) del D.P.R. n. 131/1986.
3.1. L’illegittimità costituzionale dell’art. 46, comma 2, lett. c) del D.P.R. n. 131/1986, in relazione agli articoli 3 e 53 della Costituzione.
L’art. 46, comma 2, lett. c) del D.P.R. n. 131/1986 è una norma incostituzionale, in quanto viola gli articoli 3 e 53 della Costituzione, nella misura in cui subordina il calcolo della base imponibile a un coefficiente, applicabile in funzione della sola età e, quindi, alle aspettative di vita legate alla stessa.
Orbene, tanto:
- crea un’ingiustificata disparità di trattamento fiscale tra contribuenti che versano in uno stato di salute “normale” e contribuenti per i quali, invece, è stata accertata una lesione dell’integrità psicofisica grave (a esempio del 90%) e che, indubbiamente, non possono avere le stesse aspettative di vita, in palese violazione del principio di uguaglianza costituzionalmente garantito dall’art. 3 della Costituzione;
- prescinde dall’effettiva capacità contributiva, di cui all’art. 53, data la non corrispondenza tra i valori determinati dal suddetto coefficiente e quelli reali, ad esempio, per una persona affetta da una grave lesione all’integrità psicofisica, legati all’aspettativa di vita di 10-12 anni, accertata dal CTU in sede di giudizio civile .
3.2. L’illegittimità costituzionale dell’art. 46, comma 2, lett. c) del D.P.R. n. 131/1986 in relazione all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui fa riferimento e rinvia al prospetto allegato al TUR, in violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza.
A ciò si aggiunga, altresì, che l’art. 46, comma 2, lett. c) del TUR, nella parte in cui fa riferimento e rinvia al prospetto allegato al TUR, viola ulteriormente l’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo sia del principio di eguaglianza, sia del principio di ragionevolezza.
Per quanto attiene al principio di eguaglianza, si rileva come del tutto irragionevolmente il prospetto allegato al TUR, a cui fa espresso rinvio l’art. 46 citato, che stabilisce i coefficienti da utilizzare per il calcolo del valore della rendita vitalizia, viene preso a riferimento anche dal successivo art. 48 in relazione al calcolo dell’usufrutto vitalizio, con la conseguenza che vengono considerate uguali e disciplinate allo stesso modo due situazioni completamente diverse tra loro.
Al riguardo, peraltro, non è dato comprendere come il legislatore abbia ritenuto di utilizzare un identico prospetto sia per il calcolo della rendita vitalizia sia per il calcolo dell’usufrutto vitalizio, tenuto conto che sono innegabilmente differenti i punti di partenza da cui si deve muovere per giungere a determinare il valore dell’imponibile da sottoporre a tassazione, ovvero:
- nel caso dell’usufrutto vitalizio, al valore imponibile si giunge partendo dal valore del capitale (vale a dire dal valore del bene sul quale l’usufrutto è impresso);
- nel caso della rendita vitalizia, al valore imponibile si giunge partendo dal valore della rendita periodicamente dovuta e operando la sua capitalizzazione mediante la sua attualizzazione.
Ebbene, se si parte dal valore del capitale (e cioè dal valore del bene che dall’usufrutto viene gravato), per ricavare il valore dell’usufrutto vitalizio su detto capitale, il “prospetto” allegato al T.U.R., attualmente vigente, che si prende ad esempio e che di seguito si riporta, funziona abbastanza bene.
Età
Coefficiente
0-20
317,50
21-30
300
31-40
282,50
41-45
265
46-50
247,50
51-53
230
54-56
212,50
57-60
195
61-63
177,50
64-66
160
67-69
142,50
70-72
125
73-75
107,50
76-78
90
79-82
72,50
83-86
55
87-92
37,50
93-99
20
Ed infatti, dato un capitale di euro 500.000:
- l’usufrutto vitalizio di un 50enne è pari a euro (500.000 x 0,30 x 247,50 =) 371.250 (contro un valore di nuda proprietà pari a euro 128.750);
- l’usufrutto vitalizio di un 60enne è pari a euro (500.000 x 0,30 x 195=) 292.500 (contro un valore di nuda proprietà pari a euro 128.750);
- l’usufrutto vitalizio di un 70enne è pari a euro (500.000 x 0,30 x 125 =) 187.500 (contro un valore di nuda proprietà pari a euro 312.500); mentre, se si ragiona “al contrario”, ovvero si parte dal valore della rendita che approssimativamente si può ricavare dividendo il valore dell’usufrutto per il numero di anni di presunta permanenza in vita dell’usufruttuario (371.250:50; 292.550:40; e 187.500:30), ipotizzandolo longevo fino a 100 anni, si ha che l’imponibile diventa assurdamente pari a :
- euro 7.425 x 247,50 = 1.837.687,50 nel caso del vitaliziando 50enne;
- euro 7.314 x 195 = 1.426.230 nel caso del vitaliziando 60enne;
- euro 6.250 x 125 = 781.250 nel caso del vitaliziando 70enne.
Orbene, i coefficienti di moltiplicazione, così come previsti nel prospetto allegato al Testo Unico dell’imposta di registro, mentre appaiono accettabili nel momento in cui si tratta di calcolare il valore dell’usufrutto vitalizio, viceversa appaiono completamente illegittimi, per illogicità ed arbitrarietà, quando si tratta di calcolare il valore della rendita vitalizia.
Parimenti, l’irragionevolezza e l’irrazionalità dei coefficienti di calcolo, previsti dal suddetto prospetto, appare evidente se gli stessi vengono applicati per il calcolo della rendita a tempo determinato piuttosto che per il calcolo della rendita vitalizia.
Invero, applicando le regole di determinazione della base imponibile della rendita a tempo determinato (una rendita annua di euro 10.000 vale - ipotizzando la vigenza del tasso di interesse legale dello 0,30% [10.000 x 9,837=] euro 98.370 se dura 10 anni; [10.000 x 19,384=] euro 193.384 se dura 20 anni e [10.000 x 28,649=] euro 286.490 se dura 30 anni) fuoriescono valori imponibili che, anche “a prima vista”, appaiono senz’altro plausibili, invece applicando le regole che la legge impone per il calcolo della rendita vitalizia fuoriescono risultati assolutamente inspiegabili.
Ed infatti, ipotizzando un’annualità di euro 10.0000, il valore imponibile della rendita vitalizia è pari: a (10.000 x 247,50 =) euro 2.475.000, se il vitaliziato sia 50enne, a (10.000 x 195=) euro 1.950.000, se il vitaliziato sia 60enne, a (10.000 x 125=) euro 1.250.000, se il vitaliziato sia 70enne.
Paradossalmente, una rendita annua di euro 10.000 costituita per 40 anni a favore di un 70enne vale invece (10.000 x 37,640=) euro 376.400.
Alla luce di tanto, è indiscutibile come non sia dato comprendere in che modo vengano stabiliti i coefficienti di moltiplicazione, soprattutto per quanto attiene al calcolo della rendita vitalizia.
Pertanto, sulla base di quanto sopra rilevato, tale calcolo è illogico e irrazionale e contrasta con l’articolo 3 della Costituzione.
Avv. Maurizio Villani
Avv. Lucia Morciano