Il padrone del cane che disturba il vicino non risponde penalmente. Il reato di cui all'articolo 659 Cp, sussiste solo quando rumori e schiamazzi arrecano danno a un numero indeterminato di persone
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Nessun reato penale per il padrone del cane se il proprio fido disturba di notte solo un vicino. A rilevarlo evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” la Cassazione penale, con la sentenza n. 40329, depositata ieri. Annullata la decisione del gup del Tribunale di Oristano che aveva stabilito una pena di 200 euro di ammenda ad una donna, ritenuta responsabile del reato di cui all'articolo 659 del c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone).
L'imputata era stata ritenuta colpevole di aver lasciato libero il cane nel suo cortile, confinante con la casa di un vicino che si lamentava che l'animale sia di giorno che di notte disturbava la quiete e il riposo. Tuttavia, la decisione del giudice di merito è stata riformata dagli ermellini della terza sezione penale che hanno rilevato come ai fini dell'integrazione del reato di cui all'articolo 659 c.p. è necessario che «i rumori, gli schiamazzi e le altre fonti sonore indicate nella norma superino la normale tollerabilità e abbiano, anche in relazione allo loro intensità, l'attitudine a propagarsi e a disturbare un numero indeterminato di persone, e ciò a prescindere dal fatto che alcune persone siano state effettivamente disturbate; invero, trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente che la condotta dell'agente abbia l'attitudine a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, ed è indifferente che la lesione del bene si sia in concreto verificata».
I giudici del Palazzaccio hanno censurato la decisione del Gup del tribunale sardo perchè «ha fatto derivare la configurabilità del reato esclusivamente e apoditticamente, nell'affermata assenza della necessità di procedere a misurazioni strumentali, dal fatto che presso il cortile dell'imputata soggiornasse un solo cane, peraltro di taglia e razza imprecisata, sebbene sia di comune esperienza il fatto che l'intensità, e pertanto, l'attitudine ad arrecare molestia, dei latrati di un cane sia, di regola, direttamente rapportabile alla sua stazza, il quale usava abbaiare al passaggio sulla via di persone o di altri animali».
In conclusione, il giudice non ha valutato l'entità del fenomeno rumoroso, né l'esistenza di un concreto superamento dei limiti della normale tollerabilità e la potenziale idoneità dei rumori a disturbare un numero indeterminato di persone, «delle quali è, anzi, in maniera del tutto immotivata stante l'apparente assenza di altre lamentele oltre a quella del querelante, affermata la derivante avvenuta esasperazione».