In vista della Finanziaria 2019. La riforma della Giustizia Tributaria

In vista della Finanziaria 2019. La riforma della Giustizia Tributaria

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Ormai i tempi sono maturi per procedere ad una necessaria ed urgente riforma della giustizia tributaria, con l’obiettivo principale di trasformare il giudice speciale tributario in un giudice a tempo pieno, professionalmente competente, con un trattamento economico congruo e dignitoso e, soprattutto, non più dipendente dal MEF ma rispondente ai principi di imparzialità, terzietà ed indipendenza, come testualmente previsto dall’art. 111, comma secondo, della Costituzione.

Infatti, restano ancora oggi irrisolti i nodi centrali del problema, legati alla necessaria riforma ordinamentale della giurisdizione tributaria, che riguardano l’introduzione o meno della figura del giudice tributario, occupato a tempo pieno ed esclusivo nell’attività giudiziaria, adeguatamente retribuito e quello dell’autonomia gestionale ed organizzativa dal MEF, che, si ricorda, è parte nel procedimento tributario.

In tale contesto, sarebbe da salutare con favore un provvedimento legislativo volto a reintrodurre una generale definizione delle liti fiscali pendenti, come previsto un tempo dall’art. 16 della Legge n. 289/2002.

Va detto che per tanti anni si è fatto un gran parlare della riforma della giustizia tributaria, ma si è dovuto constatare che le iniziative emerse si sono caratterizzate da superficialità ed improvvisazione, risultando sostanzialmente velleitarie ed alla fine irrealizzabili (proposta di legge n. 3734/2016; disegno di legge del 15/02/2017; disegno di legge n. 2438/2016 – Senato presentato dal Sen. Naccarato intitolato “Attribuzione alla Corte dei Conti in materia di contenzioso tributario”).

Si fa presente che in tre anni, dal 2013 al 2016, sono stati presentati in Parlamento sei disegni di legge di riforma della giustizia tributaria:

1) disegno di legge n. 319 presentato al Senato il 26 marzo 2013, predisposto dal CNEL;

2) disegno di legge n. 988 presentato al Senato il 1° agosto 2013, di iniziativa del Sen. Giorgio Pagliari ed altri (rinvio ad un mio articolo sull’argomento pubblicato il 05 settembre 2013 sul mio sito www.studiotributariovillani.it);

3) proposta di legge n. 1936 presentata alla Camera il 09 gennaio 2014 dall’On. Sandra Savino;

4) disegno di legge n. 1593 presentato al Senato il 06 agosto 2014 dalla Sen. Gambaro, che ha ripreso integralmente il mio progetto di legge e che è stato in larga parte ripreso dal D.Lgs. n. 156 del 24 settembre 2015, entrato in vigore il 1° gennaio 2016 (parziale riforma del processo tributario);

5) proposta di legge n. 3734 presentata alla Camera l’08 aprile 2016 a firma degli Onorevoli Ermini, Ferranti e Verini;

6) disegno di legge n. 2438 comunicato alla Presidenza del Senato il 09 giugno 2016 dal Sen. Naccarato, come sopra esposto.

Si deve, pertanto, ritenere che oggi tutti i contribuenti, i professionisti e gli stessi giudici tributari si attendono una necessaria riflessione ed un preciso impegno politico di un avveduto legislatore sulla assoluta esigenza di una riforma di questa giurisdizione, ormai non più oltre rinviabile.

In proposito, è noto che le connesse problematiche sull’indipendenza, terzietà e imparzialità del giudice sono oggetto di particolare attenzione ed attualità anche per il giudice tributario, in considerazione del suo particolare status.

Per giungere a tale risultato occorrono interventi di carattere radicale, che ignorino le inevitabili pressioni di carattere corporativo.

Occorre, in sostanza, superare quella considerazione di “secondo lavoro” cui dedicarsi nei ritagli di tempo affannosamente sottratti all’occupazione principale.

Oltretutto, una più elevata professionalità dei giudici tributari di merito appare in grado di rendere più “resistibili” le relative sentenze e ridurre ragionevolmente l’accesso alla fase di legittimità della Corte di Cassazione, con conseguente ricaduta virtuosa sui tempi della giustizia tributaria (Italia Oggi di mercoledì 20 giugno 2018).

È necessario, infatti, uscire dall’ambiguità di fondo di una magistratura costituita da soggetti già impegnati in una diversa attività professionale, così da mantenere una sorta di giudice dopolavorista a cottimo la cui figura risulta irrimediabilmente pregiudicata da un sistema che non può ancora funzionare a lungo.

Le Commissioni tributarie decidono su questioni di grande rilevanza economica, che richiedono elevata professionalità e specializzazione nella materia tributaria, ma soprattutto si avverte la necessità di un giudice dedicato a tempo pieno, che possa tutelare i diritti dei cittadini-contribuenti e garantire un corretto utilizzo della leva fiscale che risponda ai criteri di una moderna economia.

Del resto, anche le principali Carte internazionali dei diritti, nel garantire ad ogni persona il cosiddetto diritto di "accesso alla giustizia", affermano che tale diritto deve essere esercitato dinanzi al giudice - lato sensu - "competente" secondo le leggi nazionali (cfr., ad esempio, l'art. 8 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: «Ogni individuo ha diritto ad una effettiva possibilità di ricorso ai competenti tribunali nazionali [....]»; l'art. 14, prf. 1, secondo periodo, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, reso esecutivo dalla legge 25 ottobre 1977, n. 881: «Ogni individuo ha diritto ad un'equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale stabilito dalla legge [....]»; l'art. 6, prf. 1, della CEDU: «Ogni persona ha diritto ad un'equa e pubblica udienza [....] davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge [....]»; l'art. 47, prf. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea: «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente [....] da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge» (rinvio al mio articolo, scritto insieme alla Collega Lucia Morciano, pubblicato in NEOTEPA n. 2/2017, pagg. 35 – 47).

Ferma, dunque, la garanzia della precostituzione per legge di qualsiasi giudice rispetto alla singola regiudicanda, l'utilizzazione, in sede internazionale, del generico termine "competente" dipende dall'ovvia considerazione che l'ordinamento giurisdizionale degli Stati contraenti può differire, tra l'altro, anche a seconda che sia stabilito un sistema di organizzazione della giustizia "monistico" ovvero "pluralistico" come certamente in Italia (principi esposti dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con le sentenze nn. 29 e 30 depositate il 05 gennaio 2016).

Un sistema di reclutamento che ponga l’accento sulla preparazione professionale dei giudici tributari, sulla loro vocazione effettiva di tale funzione, nonché sul superamento del carattere puramente onorario di tale settore della Giustizia, cui non può essere estraneo un conseguente e dignitoso riconoscimento economico (oggi, zero euro per le sospensive e 15 (quindici!!) euro nette a sentenza depositata, indipendentemente dal valore della causa!!), che può senz’altro contribuire a rafforzare il sentimento di identificazione del componente della Commissione tributaria con la Giurisdizione, il senso di appartenenza al sistema – Giustizia, e renderlo più insensibile ad indebite pressioni esterne.

In definitiva, si deve rafforzare la tutela giurisdizionale del contribuente, garantendo la terzietà dell’organo giudicante, come negli ultimi venti anni ho sollecitato con 240 interventi (105 convegni; 66 corsi; 46 seminari di studio; 23 videoconferenze e 35 libri), oltre a centinaia di articoli sull’argomento (rinvio al mio articolo “Richiesta al nuovo Governo: riforma della giustizia tributaria” pubblicato il 12 giugno 2018 dal Commercialista Telematico).

A tal proposito, mi permetto segnalare il mio primo libro <<Per un “Giusto” processo tributario>> - Congedo Editore – del 25 gennaio 2000, pubblicato sul mio sito www.studiotributariovillani.it.

Oltretutto, la riforma della giustizia tributaria può determinare maggiori investimenti ed attrazioni di capitali e risorse, tenendo conto che la difficoltà della materia tributaria necessita di giudici professionali, altamente competenti e qualificati.

Tema ostico e complesso, che si deve affrontare subito ed in modo definitivo, perché sono evidenti i limiti di un sistema nel quale il “garante dell’equità”, cioè il MEF, è anche il “controllore” dell’Amministrazione finanziaria, ovvero una delle parti del processo.

A questo punto, ritengo opportuno riportare quanto scritto efficacemente dal Prof. Franco Gallo nell’articolo “La riforma della giustizia tributaria: i principi di imparzialità, terzietà e indipendenza”, pubblicato in NEOTEPA 2017:

“A costo di essere ripetitivo, devo dire che dopo tanti anni sono arrivato alla conclusione cui erano giunti nel passato i maestri miei e di molti di voi, Gian Antonio Micheli, Enrico Allorio ed Enzo Capaccioli, e cioè che la direzione verso la quale muoversi dovrebbe compendiarsi nelle seguenti due richieste da rivolgere al legislatore.

Da una parte, la richiesta di un’attuazione rigorosa dei principi di indipendenza, terzietà e imparzialità che consenta di mantenere una giurisdizione speciale dove conti più il diritto che la tecnica e dove i componenti delle Commissioni siano a tempo pieno e abbiano una specifica competenza e preparazione professionale e i difensori siano all’altezza del loro delicato compito a livello sia tecnico che delle specifiche regole deontologiche.

Dall’altra, la richiesta di realizzare una più attenta disciplina del contraddittorio e, in particolare, del regime delle prove ammesse e della tutela cautelare, che riduca gli spazi della c.d. “tutela differenziata” e consenta una migliore comparabilità dei diversi istituti processuali.

Il tutto, avendo di mira appunto l’obiettivo finale di un diritto processuale comune”.

Infatti, il valore della giustizia nel processo tributario ha acquisito un ruolo sempre più centrale:

“L’elevarsi di quella che potremmo chiamare la pretesa creditoria, la richiesta che il corpo pubblico fa ai cittadini affinché in misura crescente dedichino le proprie risorse a finanziare la spesa pubblica, codesto elevarsi reclama e postula la necessità della giustizia tributaria, intesa come giustizia nel processo, in una misura certo maggiore che nel passato” (E. Allorio, Le nuove prospettive dell’ordinamento tributario, in Diritto e Pratica Tributaria, 1964, I, 216).

Infine, si fa presente che il Presidente della Repubblica Mattarella, nel messaggio inviato al Presidente della Giustizia tributaria Mario Cavallaro in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016, ha sottolineato la centralità della Giustizia tributaria nel corretto rapporto tra cittadini e istituzioni.

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A) TUTTI AUSPICANO LA RIFORMA

Ormai tutti esigono una necessaria riflessione ed un preciso impegno politico sulla assoluta esigenza di una riforma strutturale della giustizia tributaria non più rinviabile, anche se grava lo scetticismo delle negative esperienze trascorse.

A titolo puramente informativo e non esaustivo, si segnalano i principali interventi di sollecita riforma della giustizia tributaria, con il mantenimento della giurisdizione tributaria quale giurisdizione speciale autonoma.

1) Il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, che è l’organo di autogoverno dei giudici tributari, prendendo lo spunto dall’art. 10 della legge delega n. 23 dell’11 marzo 2014, aveva proposto (articolo dell’Avv. Ubaldo Perrucci, in Bollettino Tributario d’informazioni n. 19 del 15 ottobre 2014, pagg. 1392-1393):

- la trasformazione delle Commissioni tributarie in Tribunali ed in Corti di Appello tributarie;

- l’organizzazione e la gestione affidate alla Presidenza del Consiglio dei Ministri;

- l’istituzione anche di un giudice monocratico.

Il testo integrale di tale proposta è rinvenibile in Bollettino Tributario On-line del 2014.

2) Al 33° Congresso Nazionale Forense di Rimini del 05/10/2016 si è auspicata la riforma delle Commissioni tributarie, che devono costituire un ruolo autonomo e speciale della magistratura tributaria, distinto da quello della magistratura civile, penale, amministrativa e contabile, con giudici professionali, vincitori di concorso pubblico, ben pagati e non più dipendenti dal MEF.

3) I Consigli degli Ordini degli Avvocati di Lecce, L’Aquila e Perugia, in vista del prossimo 34° Congresso Nazionale Forense, che si svolgerà a Catania il 04 -05 e 06 ottobre 2018, hanno deliberato di approvare il disegno di legge del Senatore Luigi Vitali, di cui si dirà in seguito (vedi lett. G).

4) L’Unione Nazionale delle Camere degli Avvocati Tributaristi (UNCAT), tramite il Presidente Avv. Antonio Damascelli, con un importante e condivisibile articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore di venerdì 29 giugno 2018, auspica per il processo tributario giudici terzi e professionali (altro articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore di sabato 04 marzo 2017); nello stesso senso la Camera degli Avvocati Tributaristi del Veneto con la lettera aperta sulla Giustizia tributaria pubblicata da Il Sole 24 Ore di martedì 27/02/2018.

5) Il prof. Franco Gallo, ex Presidente della Corte Costituzionale, in un magnifico articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore di sabato 23 giugno 2018 sollecita la nuova giustizia tributaria ed i doveri del legislatore; nello stesso senso, l’articolo dell’Avv. Francesco Giuliani in Il Sole 24 Ore di giovedì 26 luglio 2018.

Al Prof. Franco Gallo è stato consegnato il Premio Barocco per la sua intensa attività professionale ed accademica, in occasione del convegno che si è tenuto a Lecce l’11 maggio 2018 proprio sulla riforma della giustizia tributaria.

Con le stesse motivazioni, nell’aprile 2016, è stato consegnato il Premio Barocco al Prof. Victor Uckmar, che si è sempre prodigato per riformare la giustizia tributaria.

La migliore dottrina ha sempre richiesto l’istituzione di un giudice speciale tributario “togato” e, cioè, di un corpo autonomo di magistrati cui affidare la trattazione delle controversie devolute alle Commissioni tributarie (in tal senso, P. Russo; F. Batistoni Ferrara; G. Falsitta; G. Bellagamba e F. Tesauro).

D'altronde, la stessa Commissione parlamentare chiamata ad esprimere il proprio parere sui decreti legislativi adottati in base all’art. 30 della Legge n. 413/1991 aveva affermato che la disciplina vigente non rappresentava il punto di arrivo del percorso occorrente per pervenire ad un soddisfacente assetto del contenzioso tributario. E non è, perciò, azzardato ritenere che un decisivo “salto di qualità” lo si potrà realizzare proprio quando gli organi di giustizia tributaria saranno formati da un corpo autonomo e speciale di magistrati “a tempo pieno”.

6) L’Associazione Magistrati Tributari (A.M.T.), nel programma sottoscritto dai candidati al Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria chiede:

- il riconoscimento costituzionale della giurisdizione tributaria;

- l’abolizione del termine “commissione”, con ridenominazione in “Tribunale tributario” e “Corte d’Appello tributaria”;

- l’attuazione del principio di terzietà, con il passaggio alla Presidenza del Consiglio dei Ministri;

- la rideterminazione del trattamento economico;

- l’istituzione di una scuola di formazione per giudici tributari.

Nello stesso senso, l’Unione Giudici Tributari (U.G.T.), tramite il Presidente Dott. Antonio Genise, come confermato in occasione dell’incontro del 18 luglio 2018 organizzato dal Commercialista Telematico presso la Sala Isma del Senato.

7) La Confederazione Unitaria Giudici Italiani Tributari (C.U.G.I.T.) con l’articolo “Riforma della giustizia tributaria” del Presidente Roberto Rustichelli e del Cav. Franco Antonio Pinardi, pubblicato in Tribuna Finanziaria n. 1-2/2018 gennaio/aprile, ha sempre sollecitato la riforma strutturale della giustizia tributaria. A tal proposito, si fa presente che tramite la C.U.G.I.T., nella passata legislatura, è stato presentato al Senato dalla Sen. Gambaro il disegno di legge n. 1593 del 06 agosto 2014, che aveva integralmente ripreso il mio progetto di legge di riforma del processo tributario.

8) L’UNAGRACO che, tramite il Presidente Dott. Giuseppe Diretto, con articoli e convegni in varie parti d’Italia ha sempre sollecitato il legislatore a riformare la giustizia tributaria. A tal proposito, segnalo il libro scritto insieme al Dott. Giuseppe Diretto ed alle Colleghe di studio Iolanda Pansardi e Alessandra Rizzelli, edito da Maggioli Editore, dal titolo “Le strategie difensive nel contenzioso tributario” (luglio 2018), come da seguente link: https://www.maggiolieditore.it/le-strategie-difensive-nel-contenzioso-tributario-1.html

9) Il Presidente dell’Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (ANTI), Prof. Gaetano Ragucci, ha pubblicato sulla rivista NEOTEPA n. 1/2018 un interessante e condivisibile articolo sulla necessità di una riforma della giustizia tributaria che assicuri l’indipendenza e la professionalità dei giudici tributari (testo dell’intervento al VI Congresso organizzato in Bari dall’AMT il 24 marzo 2018, dal titolo “Il Giudice tributario: Giudice nazionale ed europeo”); sulla stessa rivista NEOTEPA n. 1/2018 si segnala l’ottimo articolo del dott. Giuseppe Durante sull’esigenza di una riforma urgente della giustizia tributaria. Inoltre, segnalo l’articolo del dott. Roberto Lunelli “Proposte di riforma del contenzioso tributario – Analisi comparata” (pubblicato in NEOTEPA del 2018, pagg. 89 – 108), che mette a confronto i disegni di legge dell’On. Ermini AC 3734 dell’08 aprile 2016, del CNEL dell’Assemblea del 20 marzo 2013 e del mio disegno di legge del 14 aprile 2016). A tal proposito, segnalo l’interessante convegno di studi “Il processo tributario – Proposte di revisione della procedura e di riforma degli Organi giudicanti” che si è svolto ad Udine venerdì 10 novembre 2017, organizzato dall’ANTI – Sezione Friuli Venezia Giulia.

Infine, segnalo l’interessante convegno di studi organizzato dall’ANTI, che si è svolto ad Udine il 10 novembre 2017, su “Il processo tributario”, con proposte di revisione della procedura e di riforma degli organi giudicanti (articolo dell’Avv. Claudio Berliri, in NEOTEPA n. 2/2017).

10) In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario tributario 2018 molti Presidenti hanno auspicato una necessaria ed urgente riforma della giustizia tributaria (i Presidenti delle CTR Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Sicilia e Veneto, le cui relazioni sono pubblicate in NEOTEPA n. 1/2018).

11) Le relazioni dei Presidenti della Corte di Cassazione in occasione dell’apertura degli anni giudiziari 2017 e 2018.

Infatti, attualmente, le cause fiscali in Cassazione sono il 38% di quelle depositate in tutta la materia civile e, di conseguenza, si crea l’inevitabile ingorgo (Italia Oggi di lunedì 26 febbraio 2018 e di mercoledì 20 giugno 2018).

Cassazione sempre più oberata dal fisco. Nonostante le liti tributarie continuino a calare nel grado di merito (nel solo 2017 i nuovi contenziosi sono stati il 9% in meno rispetto al 2016 e il 18% in meno sul 2015), non si arresta il fiume di ricorsi davanti ai giudici della Corte di Cassazione. Infatti, nel 2017 ne sono arrivati 11.241, una quantità sostanzialmente analoga agli 11.391 del 2016 e agli 11.417 del 2015 (Italia Oggi di mercoledì 20 giugno 2018, pag. 39).

12) La Rivista telematica “Commercialista Telematico”, tramite il direttore Dott. Roberto Pasquini, nella propria rubrica “Le battaglie del Commercialista Telematico” ha sempre sollecitato la riforma della giustizia tributaria con articoli, inserti, convegni e con l’ottima organizzazione dell’incontro del 18 luglio 2018 presso la sala Isma del Senato di presentazione del disegno di legge del Sen. Luigi Vitali, di cui si dirà oltre (vedi lett. G). Rinvio all’interessante articolo del dott. Roberto Pasquini “Proposte per la riforma della giustizia tributaria” pubblicato dal Commercialista Telematico il 12 gennaio 2018.

13) Articoli del dott. Giuseppe Giuliani pubblicati in Bollettino Tributario d’informazioni

a) <<Degli interventi – dei quali non avrei lo spazio per riferire dettagliatamente – uno mi ha particolarmente suggestionato. È stato quello del Presidente Canzio, allorquando ha auspicato che – a somiglianza della Corte di Cassazione, che si è dotata di una sezione tributaria – anche gli organi giurisdizionali di grado inferiore possano dotarsi di sezioni tributarie, in tal modo cancellando le commissioni tributarie. Come è arcinoto, ho sempre definito questi aggregati di gente eterogenea “organi giurisdizionali da operetta”. Per me, sapere che un giurista – non uno qualsiasi, ma il titolare del più alto scranno della giurisdizione – pur senza ricorrere al mio linguaggio di stampo giornalistico, si prefigge il mio stesso obiettivo, è stato motivo di grande soddisfazione. Del resto, ho già visto scomparire i super ispettori e tutte le altre fantasiose quanto vacue invenzioni di tanti fantasiosi quanto vacui ministri delle finanze. Avevano ragione i latini: spes ultima dea.>> (Bollettino Tributario d’informazioni n. 21 del 15/11/2017, pag. 1577 e Bollettino Tributario d’informazioni n. 13/2016 pag. 1010, dove si citano <<Le moribonde commissioni tributarie sono OGO (organi giurisdizionali da operetta>>)

b) <<Gli organi giurisdizionali da operetta sono le scarpe con la suola di cartone della giustizia italiana ed io non posso che solidarizzare con quanti – a cominciare dal Primo Presidente emerito della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio – vogliono la loro abolizione.

Per quanto concerne il finanziamento dell’operazione, la domanda va girata ai vari aspiranti primi ministri dell’ultima competizione elettorale. Se si sono detti certi di dare soldi a chi non lavora, saranno certamente in grado di trovare i fondi per smetterla di pazziare con una materia terribilmente seria, qual è quella del contenzioso tributario, che nega la dignità di cittadino a molte persone degradandole a quella di suddito.>> (Bollettino Tributario d’informazioni n. 7 del 15/04/2018, pag. 518)

c) <<La riva del fiume. Leggo che il governo si accinge ad eleminare redditometro, spesometro e studi di settore. Seduto sulla riva del fiume, ho visto passare, trainati dalla corrente, i libri rossi, i controlli globali a sorteggio, i nuclei misti, i blitz piazzaioli, i superispettori. Attendo fiducioso di veder passare gli organi giurisdizionali da operetta (commissioni tributarie).>> (Bollettino Tributario d’informazioni n. 12 del 30/06/2018, pag. 916)

14) Anche i Garanti dei contribuenti hanno più volte sollecitato la riforma della giustizia tributaria; a tal proposito, si rinvia alla relazione del 24 gennaio 2017 del Garante del contribuente per la Puglia dott. Salvatore Paracampo. Rinvio all’articolo “Quei Garanti ancora dimenticati” di Cherchi, Parente ed Uva, pubblicato in Il Sole 24 Ore di lunedì 15 gennaio 2018. Ed in effetti, secondo me, bisogna dare maggiore potere ai Garanti dei contribuenti per rendere effettivo il loro esercizio così come disciplinato dall’art. 13 dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212 del 27 luglio 2000).

15) Il dott. Andrea Ferrari, Presidente Nazionale dell’A.I.D.C., con l’articolo “Ridare dignità al rapporto contribuente – Stato”, pubblicato in Quotidiano Ipsoa del 25 gennaio 2018, ha sollecitato il passaggio della competenza del contenzioso tributario dal MEF al Ministero di Giustizia.

16) Confindustria Lecce, con la lettera del Presidente Giancarlo Negro del 27 dicembre 2017, ha sollecitato la riforma della giustizia tributaria. Nello stesso senso anche il Presidente della LAICA (Libera Associazione delle Imprese e delle Professioni del Salento – Aderente ANPIT), dott. Roberto Fatano, con la lettera dell’08/01/2018.

La stessa sollecitazione è stata fatta dal dott. Alessandro Sacrestano nell’articolo “Quando la giustizia tributaria è un accidente geografico” pubblicato nella rivista COSTOZERO – Confindustria Salerno – martedì 28 gennaio 2014:

<<Peccato che questo ruolo fondamentale sia affidato non a giudici specializzati, ben retribuiti e indipendenti (come da anni grida il mio amico Maurizio Villani, trasfondendo la sua amarezza in un progetto di riforma della giustizia tributaria di alto profilo), ma ad una compagine di “volontari”, cui si chiede, di contro, competenza massima per decisioni che riguardano il destino (a volte non solo fiscale, ma di vita reale) dei contribuenti, ricevendo in cambio poche decine di euro a sentenza emessa (quasi fosse un lavoro a cottimo!).>>.

17) Inoltre, si fa presente che il Movimento 5 Stelle il 30/06/2016 aveva predisposto nella vecchia legislatura il disegno di legge “Nuova disciplina della giurisdizione tributaria e delega al Governo” dove, all’art. 2, testualmente si disponeva:

<<La giurisdizione tributaria è esercitata dai tribunali tributari, dalle corti di appello tributarie e dalla sezione tributaria della Corte di cassazione, secondo criteri di efficienza e professionalità>>.

18) Infine, il Centro Unico Servizi Utili (C.U.S.U.) di Terracina (Latina), con la Presidente dott.ssa Filomena Frizzi ed il Gen. Carmine Bennato, responsabile del settore fiscale, in vari convegni ha sollecitato la strutturale riforma della giustizia tributaria.

NONOSTANTE TUTTE LE SUESPOSTE SOLLECITAZIONI, SVOLTE NEL CORSO DEGLI ANNI, PURTROPPO IL LEGISLATORE NON SI È ANCORA ATTIVATO PER RIFORMARE STRUTTURALMENTE LA GIUSTIZIA TRIBUTARIA.

SPERIAMO CHE QUESTA SIA LA VOLTA BUONA!!!

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B) I principi affermati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite

Le Commissioni tributarie nacquero agli albori dello Stato unitario, con la prima legge sull’imposta di ricchezza mobile n. 1830 del 14/07/1864 e T.U. n. 4021 del 24/08/1877 (artt. 48, 50, terzo comma, e 53). Rinvio alla successiva lettera a), n. 2.

Già all’inizio del 1900 il Santi Romano le annoverava tra le “giurisdizioni amministrative speciali”.

Con l’avvento della Costituzione repubblicana (01 gennaio 1948), la VI disposizione transitoria impose la revisione degli organi speciali di giurisdizione esistenti (tranne il Consiglio di Stato, la Corte dei Conti ed i Tribunali Militari).

Tale opera fu attuata con:

- D.P.R. n. 636 del 26/10/1972 e successive modifiche ed integrazioni;

- D.P.R. nn. 545 e 546 del 31/12/1992 e successive modifiche ed integrazioni (D.Lgs. n. 156 del 24 settembre 2015; rinvio all’audizione del 06/12/2016 che ho tenuto presso le Commissioni Riunite II e VI del Senato, pubblicata sul mio sito www.studiotributariovillani.it, in occasione della discussione del disegno di legge della Sen. Gambaro n. 1593 presentato al Senato il 06 agosto 2014, che aveva riportato integralmente il mio progetto di legge di riforma del processo tributario e che è stato in larga parte ripreso dal D.Lgs. n. 156 del 24 settembre 2015, entrato in vigore il 1° gennaio 2016 - parziale riforma del processo tributario).

a) La Corte Costituzionale, nel corso degli anni, è più volte intervenuta sollecitando il legislatore a riformare strutturalmente la giustizia tributaria.

E a tal proposito, è bene precisare che la Corte Costituzionale è un co-legislatore (artt. 76, 77 e 134 della Costituzione).

Infatti, la Corte Costituzionale deve decidere non se una legge è giusta o no ma se una legge è coerente o no con l’assetto legislativo complessivo, come definito in primo luogo dal dettato positivo (Bollettino Tributario d’informazioni n. 13/2018, pagina 966).

Si segnalano le seguenti decisioni.

1) Sentenza n. 154 del 05 giugno 1984:

“Con tutto questo, rimangono le molte deficienze del contenzioso tributario, ampiamente segnalate in dottrina e dagli operatori del settore, per le quali il Parlamento è ora chiamato a porre rimedio “.

2) Sentenza n. 212 del 09 luglio 1986:

“Ma ormai, risultando definitivamente consolidati l’opinione dottrinale e l’orientamento della giurisprudenza sulla natura giurisdizionale delle predette commissioni, non potrebbe ritenersi consentita un’ulteriore protrazione della disciplina attuale: per contro, è assolutamente indispensabile, al fine di evitare gravi conseguenze, che il legislatore intervenga onde adeguare il processo tributario all’art. 101 della Costituzione, correttamente interpretato”.

Non bisogna, infatti, dimenticare che per un certo periodo storico la Corte Costituzionale negò il carattere giurisdizionale delle Commissioni tributarie (Corte Costituzionale sentenza n. 10/1969), in contrasto con il precedente orientamento ribadito, invece, dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenze n. 2175/1969; n. 2201/1969; n. 1181/1970) ma, al tempo stesso, ne assicurò la sopravvivenza.

Infatti, la Corte Costituzionale, con due sentenze (n. 287/1974 e n. 215/1976), chiarendo il significato di “giudice speciale”, fugò ogni sospetto e, sostanzialmente, sopì il dibattito che poté dirsi definitivamente concluso con l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 351/1995 (in G.U. n. 33/I Serie Speciale del 09 agosto 1995), la quale ebbe espressamente a statuire che:

<<il problema della natura giuridica delle commissioni tributarie è stato definitivamente risolto da questa Corte nel senso del carattere giurisdizionale delle stesse>>.

Le Commissioni tributarie nacquero agli albori dello Stato unitario, con la prima legge sull’imposta di ricchezza mobile n. 1830 del 14/07/1864 e T.U. n. 4021 del 24/08/1877 (artt. 48, 50, terzo comma, e 53).

IN SOSTANZA, CI SONO VOLUTI 131 ANNI (DAL 1864 AL 1995) PER QUALIFICARE IN MODO DEFINITIVO LE COMMISSIONI TRIBUTARIE ORGANI GIURISDIZIONALI E NON AMMINISTRATIVI!!!

3) Ordinanza n. 144 del 20-23 aprile 1998, sollecitata dalla CTP di Lecce con ordinanza del 24 febbraio 1997, su mia specifica eccezione:

“L’obbligo di procedere alla revisione delle anzidette giurisdizioni speciali preesistenti ha consentito l’intervento del legislatore con leggi posteriori a Costituzione attraverso mutamenti graduali (v., per tutte, le disposizioni integrative e correttive emanate in base all’art. 17, secondo comma, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, i cui termini sono stati ripetutamente prorogati) e con parziali adeguamenti, anche per colmare “le molte deficienze del contenzioso tributario” sottolineate dalla Corte con invito a “riordino legislativo dell’intera materia” (sentenze n. 154 del 1984 e n. 212 del 1986).

Che allo stesso modo l’intervenuta revisione non vincola il legislatore ordinario a mantenere immutati nell’ordinamento e nel funzionamento le commissioni tributarie come già revisionate”; “per le preesistenti giurisdizioni speciali, una volta che siano state assoggettate a revisione, non si crea una sorta di immodificabilità nella configurazione e nel funzionamento, né si consumano le potestà del legislatore ordinario; che questi conserva il normale potere di sopprimere ovvero di trasformare, di riordinare i giudici speciali, conservati ai sensi della VI disposizione transitoria, o di ristrutturarli nuovamente anche nel funzionamento e nella procedura, con il duplice limite di non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisprudenza speciale) le materie attribuite alla loro rispettiva competenza e di assicurare la conformità a Costituzione, fermo permanendo il principio che il divieto di giudici speciali non riguarda quelli preesistenti a Costituzione e mantenuti a seguito della loro revisione” (sull’obbligo di non snaturare la competenza tributaria dei giudici speciali, si rinvia anche alla sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 24/07/2009).

Il legislatore tributario non definisce il concetto di tributo la cui nozione è stata, invece, elaborata dalla dottrina che, nell’ottica solidaristica dell’art. 53 della Costituzione, ne ha individuato il collegamento con l’attività di prelievo per il concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva (si rinvia all’articolo del dott. Santa Micali, in Bollettino tributario d’informazioni n. 13/2015, pagg. 974-976).

4) Sentenza n. 44 del 10 febbraio 2016:

<<La giurisprudenza costituzionale riconosce un’ampia discrezionalità del legislatore nella conformazione degli istituti processuali (tra le ultime, sentenze n. 23 del 2015, n. 243 e n. 157 del 2014), anche in materia di competenza (ex plurimis, sentenze n. 159 del 2014 e n. 50 del 2010).

Resta naturalmente fermo il limite della manifesta irragionevolezza della disciplina, che si ravvisa, con riferimento specifico al parametro evocato, ogniqualvolta emerga un’ingiustificabile compressione del diritto di agire (sentenza n. 335 del 2004).

In generale, questa Corte ha chiarito, con riferimento all’art. 24 Cost., che «tale precetto costituzionale “non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti […] purché non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale” (sentenza n. 63 del 1977; analogamente, cfr. sentenza n. 427 del 1999 e ordinanza n. 99 del 2000)» (ordinanza n. 386 del 2004).

Alla luce di questi principi, deve ritenersi che nella disciplina in esame il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, abbia individuato un criterio attributivo della competenza che concretizza «quella condizione di “sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione” suscettibile “di integrare la violazione del citato parametro costituzionale” (così, nuovamente, la sentenza n. 237 del 2007)» (ordinanza n. 417 del 2007)>>.

Appunto per questo, è importante che le controversie tributarie siano devolute ad un giudice a tempo pieno, professionale, indipendente e imparziale (articolo del dott. F. Cerioni, in Bollettino Tributario d’informazioni n. 9/16, pagg. 657 – 660).

5) Ordinanza n. 227 del 21/09/2016:

“Interventi di questo tipo – manipolativi di sistema – sono in linea di principio estranei alla giustizia costituzionale, poiché eccedono i poteri di intervento della Corte, implicando scelte affidate alla discrezionalità del legislatore (ex plurimis, sentenze n. 248 del 2014 e n. 252 del 2012; ordinanze n. 269 del 2015, n. 156 del 2013, n. 182 del 2009, n. 35 del 2001 e n. 117 del 1989)”.

b) Anche la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha richiamato i suesposti principi della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 13902 del 05 giugno 2007, depositata in cancelleria il 14 giugno 2007.

1) Inoltre, sempre la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con l’importante sentenza n. 8053 del 07 aprile 2014, ha precisato che:

“Mentre resta nel limbo del “non giuridico” ogni discorso sulla (mancanza di adeguata) “professionalità” del giudice tributario, che non reclama come ineludibile corollario logico una specialità del controllo di legittimità, ma semmai pone l’accento sulla irrinunciabile professionalizzazione del giudice quale elemento determinante della tutela giurisdizionale dei diritti (e in ciò sembra rientrare, a pieno titolo, la previsione dell’art. 10, comma 1, lettera b), n. 8), della ricordata legge n. 23 del 2014, circa la doverosa ispirazione del legislatore delegato all’adozione di misure volte al “rafforzamento della qualificazione professione dei componenti delle commissioni tributarie, al fine di assicurarne l’adeguata preparazione specialistica” nel quadro di una prospettiva di crescita dello spessore della tutela giurisdizionale del contribuente con l’assicurata terzietà dell’organo giudicante”.

(Per un commento alla suddetta ordinanza si rinvia all’interessante e condivisibile articolo dell’Avv. Valdo Azzoni, in Bollettino Tributario d’informazioni n. 5 del 15/03/2017, pagg. 404 – 408 dal titolo “La lunga e lenta agonia delle commissioni tributarie”).

2) Sentenze nn. 29 e 30 della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, depositate il 05 gennaio 2016:

“La precedente sottolineatura - che la garanzia del "giudice naturale" deve essere riferita sia alla giurisdizione sia alla competenza in senso stretto - si giustifica con il pieno rilievo che le norme sulla giurisdizione vanno considerate nel nostro più ampio contesto costituzionale, nel quale l'«Ordinamento giurisdizionale» della «Magistratura» (Titolo IV, Sezione prima, Cost.) è connotato dalla attribuzione della giurisdizione sia a magistrati «ordinari», anche "specializzati" in ragione della materia oggetto di giudizio (art. 102, primo e secondo comma) - ai quali è riservata giurisdizione tendenzialmente "generale" per la tutela dei diritti soggettivi (cfr., ad esempio, gli artt. 1 del R. d. n. 30 gennaio 1941, n. 12, sull'ordinamento giudiziario, 1 cod. proc. civ., 1 cod. proc. pen., 96 Cost.) -, sia a magistrati amministrativi (Consiglio di Stato ed «altri organi di giustizia amministrativa») «per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione» (artt. 103, primo comma, 125, secondo comma), sia alla Corte dei conti «nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge» (103, secondo comma), sia ai tribunali militari in tempo di guerra e in tempo di pace (art. 103, terzo comma), sia infine ad altri, "revisionandi" «organi speciali di giurisdizione» (esistenti alla data del 01 gennaio 1948: art. VI, primo comma, delle disposizioni transitorie e finali), a ciascuno dei quali è attribuita giurisdizione in ragione o della situazione giuridica soggettiva sostanziale fatta valere in giudizio (per i giudici amministrativi: interessi legittimi e, «in particolari materie indicate dalla legge», diritti soggettivi) e/o di determinate materie oggetto di giudizio, indicate direttamente dalla Costituzione e/o dalle leggi istitutive di detti «organi speciali di giurisdizione» (artt. 103, secondo e terzo comma, Cost., e VI disp. trans. e fin.).

Deve aggiungersi che, come per la giurisdizione ordinaria (cfr., in generale, artt. da 7 a 36, 39 e 40, nonché da 42 a 50 cod. proc. civ.), così anche per la giurisdizione amministrativa e per ciascuna altra giurisdizione "speciale" - non la Costituzione, che non detta disposizioni sulla "competenza in senso stretto", ma la legge ordinaria non soltanto distingue nettamente "giurisdizione" e "competenza" (come, del resto, fa l'art. 117, secondo comma, lettera I, Cost., che riserva allo Stato la legislazione esclusiva nelle materie «giurisdizione e norme processuali»), ma detta proprie e specifiche regole processuali, che stabiliscono sia criteri per la distribuzione delle controversie tra i vari organi appartenenti a ciascuna giurisdizione (competenza in senso stretto, appunto), sia forme e modi per il promovimento e per la risoluzione delle questioni e dei conflitti concernenti l'applicazione di detti criteri (cfr., ad esempio: per la giurisdizione amministrativa, gli artt. 4, da 7 a 12, da 13 a 16 cod. proc. amm., il quale ultimo articolo ha introdotto anche nella giustizia amministrativa l'istituto del regolamento di competenza, deciso dal Consiglio di Stato; per la giurisdizione della Corte dei conti, l'art. 1, comma 7, del d.l. 15 novembre 1993, n. 453, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 19, che attribuisce alle sezioni riunite della Corte, tra l'altro, la decisione sui «conflitti di competenza»; per la giurisdizione tributaria, gli artt. da 2 a 5 del D.Lgs.. 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni)”.

Infatti, la Corte Costituzionale ha costantemente riconosciuto che spetta sempre al legislatore ordinario decidere discrezionalmente la sorte delle giurisdizioni speciali preesistenti (Corte Costituzionale sentenza n. 17/1965), come corollario della ritenuta legittimità della sopravvivenza delle stesse dopo il compimento del quinquennio fissato per la loro revisione (orientamento costante fin da Corte Costituzionale n. 41/1957).

c) In definitiva, quindi, sia la Corte Costituzionale sia la Corte di Cassazione a Sezioni Unite hanno sempre sollecitato il legislatore ordinario a riformare strutturalmente la giustizia tributaria con legge ordinaria e non con legge costituzionale, come sopra esposto, precisato e documentato.

L’art. 108, primo comma, della Costituzione stabilisce che:

<<Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge>>.

Infatti, “una riforma così rilevante, e per di più non immediatamente percepibile come coerente attuazione del sistema normativo vigente, quale è quella dell’istituzione di uno speciale giudizio di legittimità in materia tributaria, esige una espressa, specifica e consapevole espressione di volontà legislativa” (in tal senso, Corte di Cassazione a Sezioni Unite con le sentenze n. 8053 del 07 aprile 2014 e n. 6466/2015).

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C) NORMATIVA DI RIFERIMENTO

Per riformare strutturalmente le Commissioni tributarie basta seguire ed osservare scrupolosamente i principi della seguente normativa di riferimento.

1) Art. 111, comma secondo, della Costituzione:

“Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.

Non certo può considerarsi terzo ed imparziale un giudice tributario nominato su proposta del Ministro delle finanze (art. 9, primo comma, D.Lgs. n. 545/92 citato)!!

2) Art. 106, comma primo, della Costituzione:

“Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso”.

3) Art. 108, comma secondo, della Costituzione:

“La legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia”.

4) Art. 6, paragrafo primo, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) del 04/11/1950, ratificata dall’Italia con Legge n. 848 del 04/08/1955 (art. 117 della Costituzione):

“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge….”.

Questa fonte ha, in effetti, un grado gerarchico elevato, potendosi considerare norma interposta in un giudizio di costituzionalità. La sua applicazione nell’ordinamento interno è, infatti, mediata dalla norma costituzionale dell’art. 117, primo comma, della Costituzione che subordina, appunto, l’esercizio della potestà legislativa dello Stato ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali assunti.

Si citano, inoltre, l’art. 10 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e l’art. 14 del Patto dei Diritti Civili e Politici non direttamente applicabili dal giudice comune.

5) Art. 39, comma primo, D.L. n. 98 del 06/07/2011, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 111 del 15/07/2011 (in G.U. n. 164 del 16/07/2011) <<Disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria>>:

“Al fine di assicurare una maggiore efficienza del sistema della giustizia tributaria, garantendo altresì imparzialità e terzietà del corpo giudicante, sono introdotte disposizioni volte a:

a) rafforzare le cause di incompatibilità dei giudici tributari;

b) incrementare la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici selezionati tra i magistrati ordinari, amministrativi, militari, e contabili in servizio o a riposo ovvero tra gli avvocati dello Stato a riposo (Lettera così modificata, in sede di conversione, dalla Legge n. 111 del 15 luglio 2011);

c) ridefinire la composizione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria in analogia con le previsioni vigenti per gli organi di autogoverno delle magistrature.”

6) Art. 10 della Legge delega n. 23 dell’11/03/2014:

- “Il Governo è delegato ad introdurre, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, norme per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, assicurando la terzietà dell’organo giudicante….” (primo comma);

- “rafforzamento della qualificazione professionale dei componenti delle commissioni tributarie, al fine di assicurarne l’adeguata preparazione specialistica” (primo comma, lett. b), n. 8).

Norma citata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 8053 del 07 aprile 2014 e totalmente ignorata e disattesa dall’odierno legislatore.

PURTROPPO, SINO AD OGGI, TUTTI I SUESPOSTI PRINCIPI SONO STATI TOTALMENTE IGNORATI DAL LEGISLATORE!!!

SPERIAMO CHE L’ATTUALE PARLAMENTO APPROVI DEFINITIVAMENTE LA RIFORMA STRUTTURALE DELLA GIUSTIZIA TRIBUTARIA RISPETTANDO SCRUPOLOSAMENTE I SUESPOSTI PRINCIPI.

<<Il giudice è finalmente divenuto generale e esclusivo per tutte le liti che coinvolgono uno specifico rapporto di imposta; ma è ancora ben lontano da integrare quel modello di giudice indipendente, terzo e imparziale, disegnato in Costituzione (artt. 106, 108 e 111), che costituisce un prerequisito imprescindibile per la realizzazione del giusto processo, concepito quale forma di attuazione esclusiva della funzione giurisdizionale in qualunque settore dell’ordinamento. (…) In conclusione, decretando la fine del principio di tipicità degli atti impugnabili, il Supremo Collegio ha prodotto una insanabile rottura del vigente sistema ordinamentale dalle cui spoglie può sorgere, oltre ad un nuovo modello di processo, anche un nuovo tipo di giurisdizione, non solo esclusiva, ma anche piena e non “asimmetrica” e, soprattutto, svincolata, per quanto possibile, da condizionamenti dogmatici di origine dottrinaria>> (articolo del Prof. Giuliano Tabet, in Bollettino Tributario d’informazioni n. 18/2016, pagg. 1287 e 1288 e articolo di A. Marcheselli in Corriere Tributario, 2016, 2765).

Non bisogna dimenticare che la previsione di un trattamento economico adeguato costituisce requisito di indipendenza del giudice (Corte Costituzionale n. 223 dell’ 08/10/2012).

Qualche perplessità viene avanzata in proposito quanto allo status del giudice tributario italiano, attesa l’entità dei relativi compensi, ed essa è aggravata dal fatto che il relativo compenso viene determinato da parte del MEF (nell’ambito del quale orbitano le Agenzie delle Entrate che emettono i provvedimenti sottoposti al controllo degli stessi giudici) e, addirittura, liquidato dalla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, che è la principale autorità sottoposta al controllo della giurisdizione tributaria (art. 13 D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992 e successive modifiche ed integrazioni).

A tal proposito, si cita la recente ordinanza del 04 aprile 2018 della CTP di Novara – Sezione 1 – che ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale con il seguente dispositivo:

<< La Commissione, letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 13 del decreto legislativo n. 545/1992, in riferimento agli artt. 101 e 111 Cost. e, per il tramite dell'art. 117 Cost., art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per come interpretata dalla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'uomo, al fine rimediare al difetto di apparenza di indipendenza c.d. ordinamentale del giudice ovvero di evitare che venga adottata una decisione che, per effetto della sua adozione da parte di un giudice non apparentemente indipendente per violazione della clausola del giusto processo, ai sensi dell'art. 111 Cost. e 6 Cedu, sia nulla per difetto di costituzione del giudice (art. 158 c.p.c.) e, comunque, fonte di responsabilità dello Stato italiano per violazione dei diritti fondamentali dell'uomo.>> (articolo di Andrea Taglioni, in Il Sole 24 Ore di giovedì 30 agosto 2018).

SPERIAMO CHE QUESTA VOLTA IL LEGISLATORE INTERVENGA PRIMA DELLA PRONUNCIA DELLA CORTE COSTITUZIONALE!!!

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D) LE COMMISSIONI TRIBUTARIE OGGI

L’attuale situazione giuridica ed economica delle Commissioni tributarie è la seguente:

1) i giudici tributari sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro delle finanze… (art. 9, comma primo, D. Lgs. N. 545/1992 citato); “In ogni altro caso alla nomina dei componenti di commissione tributaria si provvede con decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze” (art. 9, comma primo, secondo periodo, citato, aggiunto dall’art. 11, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 156 del 24/09/2015);

2) attualmente, i giudici tributari sono 3.019, di cui 94 anche in Cassazione, (meno 3,73% rispetto al 2016); i giudici togati sono 1.633 mentre i laici sono 1.386 (Il Sole 24 Ore di lunedì 26 febbraio 2018 e Italia Oggi di lunedì 26 febbraio 2018 e di lunedì 06 agosto 2018); un evidente sottodimensionamento rispetto alle 4.668 unità previste dal d.m. 11 aprile 2018;

3) l’organizzazione della macchina amministrativa è affidata al MEF che, per l’anno 2018, ha preventivato un costo complessivo di 211 milioni di euro, con un aumento che sfiora il 2,5% rispetto al preventivo 2017 quando le stesse voci pesavano per 206 milioni di euro (Il Sole 24 Ore di lunedì 26 febbraio 2018). Oltretutto, non bisogna dimenticare che alcune Commissioni tributarie operano negli stessi locali dell’Agenzia delle entrate (come, per esempio, la CTP di Brindisi che svolge le udienze presso l’Agenzia delle entrate di Ostuni!!); a tal proposito, non può non rilevarsi il potere del MEF:

<< di istituire nuove Commissioni, di adeguare il numero delle sezioni interne a ciascuna Commissione, di proporre al Presidente della Repubblica la nomina dei componenti delle commissioni, di disporre il relativo trattamento economico, di applicare le sanzioni disciplinari deliberate dal Consiglio di Presidenza (che è, come è facilmente intuibile, costituisce una sorta di Consiglio Superiore della Magistratura del processo tributario), laddove questo organo è stato poi costituito dallo stesso ministero e ivi ha sede. Al fatto della retribuzione dei giudici da parte del Ministero dell’Economia si aggiunge poi la circostanza che gli stessi Collegi sono assistiti da personale amministrativo inquadrato in tale Ministero>> (articolo dell’Avv. Antonino Russo, in Bollettino Tributario d’informazioni n. 2 del 30/01/2016, pagg. 93 – 97);

4) i giudici tributari non sono a tempo pieno perché possono svolgere una seconda o terza attività (artt. 4 e 5 D.Lgs. n. 545/1992 citato); infatti, i giudici tributari sono nominati per titoli e non per concorso pubblico;

5) le cause tributarie possono essere lunghe anche 9 (nove) anni; infatti, durano poco meno di due anni e cinque mesi in primo grado, altri due anni e un mese in appello, e poi oltre 4 (quattro) anni davanti alla Corte di Cassazione, diventata suo malgrado sempre più un collo di bottiglia alla luce di un flusso di ricorsi senza eguali tra le supreme corti mondiali, con 11.000 (undicimila) gravami fiscali in arrivo ogni anno (articolo di Valerio Stroppa, in Italia Oggi di giovedì 25 agosto 2016, pag. 31); nello stesso succitato articolo, si precisa che a Messina, Catania, Biella e Cosenza le cause tributarie possono durare anche 19 (diciannove) anni!!!;

6) molte cause tributarie durano anni anche perché si creano problemi di giurisdizione, soprattutto per quanto riguarda la fase della riscossione. Per esempio, in materia di atti esecutivi, la Corte di Cassazione è intervenuta con due sentenze (in Bollettino Tributario d’informazioni n. 19 del 15/10/2017, pagg. 1437 – 1448, con nota del dott. Domenico Carnimeo):

- n. 13913 del 05 giugno 2017;

- n. 13916 del 05 giugno 2017.

Giova precisare che per la Corte di Cassazione (sentenza n. 722/1999 ed altre nel corso degli anni) spetta sempre al giudice ordinario e non al giudice tributario la competenza in tema di risarcimento del danno anche in tema di responsabilità processuale aggravata, a nulla rilevando che il giudice della causa principale è meglio in grado di valutare il comportamento processuale della parte soccombente.

A titolo puramente indicativo, in tema di questioni di giurisdizione, si citano le seguenti sentenze della Corte di Cassazione:

- la giurisdizione sulla proposta azione di risarcimento del danno per comportamento illecito dell’amministrazione finanziaria appartiene soltanto al giudice ordinario (sentenza n. 19458/2011; ordinanze Sezioni Unite nn. 20323, 20324 e 20325 del 2012);

- rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie tra sostituto d’imposta e sostituito quando manchi un atto qualificato riconducibile all’autorità fiscale (Sezioni Unite, sentenza n. 26820/2009 e n. 19289/2012);

- le controversie riguardanti debiti contributivi IVS appartengono alla cognizione del giudice ordinario (Sezioni Unite, ordinanza n. 2576/2012);

- le controversie riguardanti le sanzioni per occupazione di lavoratori irregolari spettano alla cognizione del giudice ordinario (Sezioni Unite, sentenza n. 9594/2012);

- le controversie relative alle sanzioni irrogate dall’AAMS a seguito di apparecchi da intrattenimento irregolari spettano al giudice ordinario (Sezioni Unite, ordinanza n. 25933/2011);

- le controversie in tema di contributo unificato spettano al giudice tributario (Sezioni Unite, sentenza n. 5994/2012).

La riforma strutturale della giustizia tributaria, con giudici indipendenti e professionali, può prevedere anche la competenza in tema di risarcimento dei danni per tutelare meglio il contribuente che, oggi, purtroppo, deve rivolgersi a due giudici diversi (civile e tributario), con regole processuali diverse e con inevitabile perdita di tempo (tenuto conto della lungaggine della giustizia civile!!!); inoltre, si può disciplinare meglio il rapporto tra le varie giurisdizioni;

7) i giudici tributari, pagati in ritardo dal MEF, non percepiscono nulla per le sospensive, euro 15 (quindici!!) nette a sentenza depositata ed 1 euro a sentenza per rimborso spese!!! (art. 13 D.Lgs. n. 545/92 e Decreto Ministeriale 05 febbraio 2016, in attuazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 6086/2014), indipendentemente dal valore della causa, prima a regime ordinario di tassazione (art. 39, quinto comma, D.L. n. 98/2011, dichiarato incostituzionale in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione, con sentenza della Corte Costituzionale n. 142/2014), oggi, finalmente, soggetti a tassazione separata, anche se il MEF è contrario ai rimborsi per gli importi passati (per le cause in corso, rinvio alla favorevole sentenza della CTP di Lecce n. 1732/2016, depositata il 13/07/2016 e, invece, Risoluzione Ministeriale n. 151/E/2017 del 13/12/2017, di contrario avviso; “I giudici battono cassa – Quasi 5 anni di compensi premiali arretrati”, articolo di Gianni Macheda, in Italia Oggi di mercoledì 03 agosto 2016).

In sostanza, i compensi dei giudici tributari sono talmente bassi da essere offensivi. Intanto, c’è una quota fissa: il giudice a latere riceve 150 euro al mese, il vice - Presidente 180 euro, il Presidente 220 euro. Poi c’è il compenso variabile pari a QUINDICI EURO NETTE A SENTENZA DEPOSITATA!!! In definitiva, se un giudice tributario vuole guadagnare la misera somma di 1.000 euro al mese deve partecipare a 67 decisioni e scrivere 22 sentenze al mese!!! Invece, i Presidenti delle Commissioni Regionali e Provinciali (100 persone), che svolgono attività di coordinamento, hanno diritto ad un compenso minimo su ogni ricorso, e siccome i ricorsi sono migliaia questo fa la differenza. La legge fissa per loro un tetto massimo di 72.000 euro lordi all’anno, che si raggiunge facilmente, somma che è pari a più di 45.000 euro nette all’anno, pari a oltre 4.000 euro nette al mese.

A tal proposito, si cita l’ordinanza del 04 aprile 2018 della CTP di Novara – Sezione 1 – che ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale con il seguente dispositivo:

<< La Commissione, letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dei commi 1, 2 e 3 dell'art. 13 del decreto legislativo n. 545/1992, in riferimento agli artt. 101 e 111 Cost. e, per il tramite dell'art. 117 Cost., art. 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per come interpretata dalla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'uomo, al fine rimediare al difetto di apparenza di indipendenza c.d. ordinamentale del giudice ovvero di evitare che venga adottata una decisione che, per effetto della sua adozione da parte di un giudice non apparentemente indipendente per violazione della clausola del giusto processo, ai sensi dell'art. 111 Cost. e 6 Cedu, sia nulla per difetto di costituzione del giudice (art. 158 c.p.c.) e, comunque, fonte di responsabilità dello Stato italiano per violazione dei diritti fondamentali dell'uomo.>> (articolo di Andrea Taglioni, in Il Sole 24 Ore di giovedì 30 agosto 2018);

8) intuitivamente deleteria sotto il profilo della rappresentazione all’esterno la disposizione per cui “Il Ministro dell’economia e delle finanze presenta entro il 30 ottobre di ciascun anno una relazione al Parlamento sullo stato della giustizia tributaria nell’anno precedente anche sulla base degli elementi predisposti dal Consiglio di presidenza, con particolare riguardo alla durata dei processi e dell’efficacia degli istituti deflattivi del contenzioso” (art. 29, secondo comma, del D. Lgs. n. 545/1992, come modificato dal D. Lgs. n. 156/2015);

9) secondo le ultime statistiche rese disponibili dal MEF, nel solo terzo trimestre 2017 il fisco ha vinto completamente nel 45,8% dei casi, vedendosi riconosciuta una pretesa di quasi 1,6 miliardi di euro, a fronte del 31% dei giudizi pienamente favorevoli ai contribuenti, per un controvalore di 877 milioni di euro (Italia Oggi di lunedì 26 febbraio 2018). Per tutto l’anno 2017 il fisco ha vinto più del contribuente in tutti i gradi di giudizio.

Infatti, nell’anno 2017, gli uffici hanno avuto ragione su tutta la linea nel 45,18% dei casi in CTP e nel 45,30% in CTR.

Il contribuente, invece, ha ottenuto pronunce totalmente favorevoli rispettivamente nel 31,42% e 38,83% dei casi.

La quota residua è costituita da giudizi intermedi, conciliazioni o altri esiti, quali per esempio la rottamazione delle liti pendenti (Italia Oggi di sabato 16 giugno 2018 e di lunedì 06 agosto 2018).

In Cassazione le vittorie del fisco rappresentano oltre il 65% dei procedimenti <<ed è un po' strano che illustri professionisti o dottrinari, quasi sempre molto preparati, che patrocinano di fronte alla Suprema Corte, possano malamente soccombere due volte su tre. Forse è anche perché l’Ufficio ed il contribuente non stanno sullo stesso piano, non combattono ad armi pari>> (articolo di Renzo Amanzio Regni, in Italia Oggi di lunedì 06 agosto 2018).

Infine, a titolo puramente indicativo, il numero dei difensori che hanno utilizzato il processo tributario telematico è pari a quota 3.572, all’interno del quale la parte del leone è svolta dagli avvocati che rappresentano oltre il 61% del totale (Italia Oggi di lunedì 06 agosto 2018);

10) il valore delle cause pendenti in primo e secondo grado si aggira intorno ai 50 miliardi di euro; cifra che raddoppia sommando le cause pendenti in Cassazione (articolo di Salvatore Padula in Il Sole 24 ore di lunedì 26 febbraio 2018; Il Sole 24 Ore del 27 febbraio 2018 e del 16 giugno 2018); il 68% delle cause tributarie non supera i 20.000 euro (Italia Oggi di lunedì 06 agosto 2018);

11) cala il contenzioso tributario, ma aumentano i maxi ricorsi soprattutto sull’iva. Le cause fiscali di valore superiore a un milione di euro, sebbene siano meno del 2%, assorbono i tre quarti della posta in gioco. Il numero complessivo dei nuovi contenziosi è risultato pari a 211.515 mila fascicoli, con una flessione dell’8,8% rispetto al 2016, come emerge dal rapporto trimestrale 2018 sullo stato del contenzioso fiscale diffuso dal MEF il 20 marzo 2018 (Italia Oggi di mercoledì 21 marzo 2018); nel 2017 sono stati chiusi con il ricorso agli strumenti deflattivi del contenzioso il 28% degli accertamenti emessi, forse perché i contribuenti non si fidano molto della giustizia tributaria tenuto conto degli incerti e costosi esiti del giudizio (articolo di Andrea Bongi, in Italia Oggi di lunedì 03 settembre 2018);

12) cause che durano, in genere, pochi minuti e di regola senza istruttoria, perché poche volte viene nominato un consulente tecnico d’ufficio (rinvio all’articolo “Esiste (ancora) l’istruzione probatoria nel processo tributario?”, articolo del Prof. Alberto Comelli in Quotidiano Ipsoa del 18 febbraio 2017). Nel processo tributario tedesco, per esempio, il tribunale tributario è titolare di ampi poteri istruttori sia nella ricerca dei fatti rilevanti, anche oltre le allegazioni delle parti, sia nell’assunzione delle prove, pur essendo garantito il contraddittorio tra le parti, con una connotazione marcatamente inquisitoria del metodo istruttorio (articolo sopracitato), contrariamente a quanto avviene nell’attuale processo tributario italiano.

In definitiva, nell’attuale processo tributario, spesso i contribuenti sono costretti a chiedere in massa una tutela che, purtroppo, nella maggior parte dei casi non trovano in un processo non conforme ancora “al giusto processo”, anche perché manca una parità processuale tra le parti (articolo del dott. Giuseppe Falcone, in Il Sole 24 Ore del 06 aprile 2017).

Oggi come oggi, la legislazione rappresenta uno stimolo alla sommarietà del processo, un incitamento a risolvere tutto in una sola udienza pubblica, come se questo comportamento dovesse essere la regola. In sostanza, nell’attuale processo tributario, la discussione orale viene vista come un fastidioso optional!!!

Prevedere una sola udienza pubblica è insufficiente rispetto alle complessità strutturali di molte controversie.

<<Ciò mortifica la dialettica processuale e fa aumentare i rischi di sentenze frettolose, basate su come il giudice è stato impressionato da alcuni aspetti limitati della controversia, che saranno conosciuti dalle parti solo a motivazione depositata, senza che il contraddittorio gli si sia adeguatamente appuntato. Ne nascono sentenze “a sorpresa”, in cui si vince quando si pensava di perdere e viceversa; talvolta resta l’interrogativo del perché la causa è stata decisa in un modo anziché in un altro, ed è forte la sensazione che le argomentazioni dell’ufficio e del contribuente non siano state considerate in modo completo ed esauriente>> (in tal senso, in modo condivisibile, il Prof. Raffaello Lupi, nella Presentazione del libro “Il contenzioso tributario” edito da Il Sole 24 Ore il 20 febbraio 2006 e scritto da G. Antico – M, Conigliaro - M. Farina);

13) inoltre, per quanto riguarda la condanna alle spese, nel primo trimestre 2018 in primo grado i contribuenti hanno visto accogliere il proprio ricorso totalmente nel 31,3% dei casi, ma il fisco è stato condannato al rimborso delle spese in meno della metà di tali giudizi (15,91%), mentre, gli enti impositori hanno avuto giudizi complessivamente favorevoli nel 46,4% dei casi e la condanna del contribuente al pagamento delle spese c’è stata nel 25,7% delle controversie. Presso le Commissioni Regionali, a fronte del 37,1% di cause concluse con esito completamente favorevole al contribuente la condanna alle spese del fisco è arrivata solo nel 16,5% dei casi; in parallelo, a fronte del 46,1% di cause, con esito completamente favorevole agli uffici, le spese di giudizio sono poste a carico del contribuente nel 26,1% dei casi (Il Sole 24 Ore di lunedì 02 luglio 2018, pag. 15); in sostanza, poche condanne alle spese quando il fisco perde il processo (!!!), nonostante la chiara formulazione dell’art. 15, secondo comma, D. Lgs. n. 546/92 citato (Corte Costituzionale n. 274 del 12 luglio 2005; Cassazione – Sezione Tributaria – ordinanze n. 7258/2017, n. 373/2015 e n. 10917/2016).

Infine, con le modifiche introdotte dal 1° gennaio 2016, la Commissione tributaria, anche d’appello, può condannare alle spese sulle istanze cautelari. Anche in questo caso, però, molti giudici tributari le liquidano soltanto in caso di rigetto della richiesta del contribuente, mentre in ipotesi di accoglimento si riservano di farlo successivamente nella fase di merito (articolo di Laura Ambrosi e Antonio Iorio, in Il Sole 24 Ore di lunedì 02 luglio 2018);

14) per quanto riguarda la Corte di Cassazione, si fa presente che di solito arrivano 11.000 (undicimila) gravami fiscali ogni anno, mentre le supreme corti di Francia e Germania ricevono ogni anno rispettivamente 28.000 (ventottomila) e 10.000(diecimila) ricorsi tra civile e penale, contro gli 83.000 (ottantatremila) italiani, mentre nel Regno Unito la Corte suprema affronta meno di 10 (dieci!!!) cause tributarie all’anno, contro le oltre 11.000 (undicimila) della Corte di Cassazione!!! (articolo di Valerio Stroppa, in Italia Oggi di giovedì 25 agosto 2016). In questa grave situazione della giustizia tributaria si è recentemente appreso dell’istituzione presso la Corte di Cassazione di una struttura ausiliaria, costituita da appartenenti alla Guardia di Finanza, incaricata di organizzare i fascicoli processuali provenienti dai gradi tributari di merito e di avviarli alla decisione dei giudici. Giustamente la Camera degli Avvocati Tributaristi del Veneto ha denunciato l’evidente inopportunità di tale scelta organizzativa perché si affida in tal modo ad un organismo ausiliario delle parti pubbliche nel giudizio tributario la gestione, catalogazione e calendarizzazione dei fascicoli processuali, con gravi ricadute su prestigio e terzietà del Giudice di legittimità (Lettera aperta sulla giustizia tributaria della Camera degli Avvocati Tributaristi del Veneto, pubblicata in Il Sole 24 Ore di martedì 27/02/2018).

A tal proposito, concordo pienamente con l’articolo del Prof. Cesare Glendi, pubblicato in Quotidiano Ipsoa del 10 marzo 2018, che:

<<Urge che il potere politico provveda ad approvare una riforma seria della giurisdizione tributaria di vertice, come si predica da tempo (cfr. Ipsoa Quotidiano del 16 luglio 2016, Verso la “Sezione tributaria” della Cassazione “a cottimo”, nonché il successivo editoriale del 4 marzo 2017, La sezione tributaria-bis non basta: occorre una vera riforma al vertice della giurisdizione tributaria).

Che senso ha restringere in una sezione “cenerentola” (perché tale è considerata la Sezione tributaria così come congegnata all’interno della Suprema Corte) un contenzioso che sta per superare il 50% dell’intero contenzioso assegnato a tutte le altre cinque sezioni?>>;

15) per quanto riguarda la Corte Costituzionale, si fa presente che in dieci anni gli atti di promovimento sono crollati dai 950 del 2007 ai 308 del 2017. Con una, a sua volta, pesante riduzione del numero delle ordinanze di rimessione, passate dalle 857 del 2007 alle 190 del 2017; a diminuire sono di conseguenza anche le decisioni, che sono state 281, un dato inferiore a quello del 2016 (meno 3,7%, in Il Sole 24 Ore di lunedì 27 agosto 2018). A titolo puramente informativo, si segnala l’ultima sentenza della Corte Costituzionale n. 114 del 31 maggio 2018, che, in materia tributaria, ha dichiarato incostituzionale l’art. 57, comma 1, lettera a) del D.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria, siano ammesse le opposizioni all’esecuzione regolate dall’art. 615 c.p.c. (in Corriere Tributario Ipsoa, n. 31 del 06 agosto 2018);

16) per quanto riguarda la normativa dell’Unione Europea, si segnala l’interessante ed importante sentenza n. 269 del 14 dicembre 2017 della Corte Costituzionale che ha stabilito il seguente principio di diritto:

<<Qualora vi sia conflitto tra legge interna e norma dell’Unione Europea, il giudice applica la disposizione dell’Unione Europea dotata di effetti diretti; viceversa, quando la disposizione dell’Unione Europea non è dotata di effetti diretti, occorre sollevare questione di legittimità costituzionale, riservata alla esclusiva competenza della Corte Costituzionale, senza delibare preventivamente i profili di incompatibilità con il diritto europeo>> (in Corriere Tributario Ipsoa, n. 9 del 05 marzo 2018);

17) la Corte di Giustizia UE, Sezione III, con la sentenza del 09 novembre 2017, causa C-298/16, ha stabilito quanto segue:

<<Il principio generale di diritto dell’Unione del rispetto dei diritti della difesa deve essere interpretato nel senso che, nell’ambito di procedimenti amministrativi relativi alla verifica e alla determinazione della base imponibile iva, un soggetto privato deve avere la possibilità di ricevere, a sua richiesta, le informazioni e i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione dall’Autorità pubblica per l’adozione della sua decisione, a meno che obiettivi di interesse generale giustifichino la restrizione dell’accesso a dette informazioni e a detti documenti>> (in Corriere Tributario Ipsoa, n. 6 del 12 febbraio 2018);

18) infine, la giurisprudenza ha mostrato resistenza ad ammettere che la c.d. “Legge Pinto” (n. 89/2001) per l’equa riparazione si applichi al processo tributario, salvo per i giudizi in materia di rimborso (Cassazione n. 16212 del 24 settembre 2012).

Una implicita apertura nei confronti dell’applicabilità della suddetta legge nel rito tributario proviene dal legislatore che, con il decreto legge n. 40/2010 (art. 3, comma 2-bis), ha stabilito che, ove il contribuente avesse inteso beneficiare della definizione delle liti ultradecennali pendenti in Cassazione, avrebbe dovuto rinunciare ad ogni richiesta di risarcimento ai sensi, appunto, della succitata Legge Pinto, cosa che sembra implicare l’applicazione della medesima legge alla materia tributaria.

Con la riforma della giustizia tributaria sarà sicuramente prevista l’applicazione della Legge Pinto senza alcuna limitazione.

E) IL MIO Progetto di riforma della giustizia tributaria: la "Quarta" Magistratura (PUBBLICATO IN www.studiotributariovillani.it)

Alla luce delle considerazioni giuridiche e fattuali fin qui svolte, è quindi necessario un nuovo, tempestivo e deciso intervento legislativo, di totale riforma strutturale della giustizia tributaria.

Orbene, in base al mio progetto di riforma, i principi cui bisogna con urgenza (e necessariamente) ispirarsi sono i seguenti:

1. La gestione ed organizzazione delle Commissioni tributarie non dovrà essere più del Ministero dell’Economia e delle Finanze ma della Presidenza del Consiglio dei Ministri (non del Ministero della Giustizia)

Per attuare l’effettiva terzietà dei giudici tributari, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione, comma 2, bisogna sottrarre urgentemente al Ministero dell’Economia e delle Finanze la gestione e l’organizzazione delle Commissioni tributarie, in quanto parte interessata nel contenzioso, per poi affidarle ad un organismo terzo, come per esempio la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

È preferibile che la gestione della giustizia tributaria sia affidata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e non al Ministero della Giustizia sia per evitare il collasso della giustizia ordinaria, già oberata di cause e con gravi problemi organizzativi e gestionali, e:

- sia perché non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità del processo tributario e di quello civile (Cassazione – Sezione Tributaria -, ordinanze n. 316/2008, n. 303/2002, n. 330/2000, n. 329/2000, n. 8/1999 e n. 17164/2018), tanto è vero che nel processo tributario “Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale” (art. 7, quarto comma, D.Lgs. n. 546/92 citato), e ciò limita grandemente il diritto di difesa del contribuente (art. 24 della Costituzione); per quanto riguarda i limiti degli atti notori, si rinvia all’ordinanza n. 18/2000 della Corte Costituzionale ed alla sentenza n. 26140/2017 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria;

- sia perché è scorretto pensare ad una assimilazione del processo tributario al processo civile, proprio perché non vi è omogeneità tra i due processi in quanto la norma processuale civile trova applicazione soltanto laddove compatibile; infatti:

<<Il codice di procedura civile, quindi, viene richiamato non perché il legislatore veda una particolare “vicinanza” del processo tributario al processo civile; non perché, in altre parole, il sistema del processo civile si presenti – ancor più rispetto al passato – come archetipo su cui modellare anche il nuovo sistema del contenzioso tributario, ed a cui ricorrere per colmare le inevitabili lacune che in esso si potranno rinvenire, ma perché sistema (unico sistema normativo) organico e compiuto, e perché “sede” del diritto processuale comune>> (Fregni, 1998, 33);

- sia perché al processo tributario non sono applicabili le norme del codice di procedura penale, tra cui quella secondo la quale l’imputato ed il difensore devono avere, a pena di nullità, la parola per ultimi, se la domandano (Corte di Cassazione – Sezione Tributaria – sentenza n. 10197 del 27/04/2018, in Italia Oggi di lunedì 07 maggio 2018);

- sia perché nel processo tributario non è applicabile l’art. 191, primo comma, c.p.p., secondo il quale “Le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate” (anche se al riguardo sussiste contrasto all’interno della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria);

- sia perché, a differenza della procedura civile, nel settore tributario la Corte Costituzionale, con la recente sentenza del 23 luglio 2018, n. 175, ha ritenuto legittima la notifica diretta della cartella di pagamento, effettuata dall’agente della riscossione, mediante semplice invio di raccomandata con avviso di ricevimento (busta bianca invece di quella verde);

- sia perché, nel processo tributario, giocano un ruolo importante, ed alcune volte rilevante, le presunzioni che, a determinate condizioni, possono anche non essere gravi, precise e concordanti (rinvio all’interessante articolo del dott. Giuseppe Falcone, in NEOTEPA n. 2/2017, pagg. 70 -76).

- A tal proposito, si citano le seguenti pronunce della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria:

o – per le presunzioni in genere (per esempio, percentuali di ricarico, reddittività, rotazioni di magazzino, etc.), ordinanze nn. 6215/18 e 7003/2018;

o - per le presunzioni legali, ordinanze nn. 30185/2017 e 2662/2018;

o – per la presunta distribuzione di utili nelle società a ristretta base

azionaria, sentenze nn. 9519/2009; 5581/2015; 25683/2016; 15824/2016; 7592/2017;

- sia perché tuttora vige il regime del “doppio binario” e di autonomia tra giudizio penale e procedimento tributario (Cassazione – Sezione Sesta Civile -, ordinanze n. 9322/2017, n. 17782/2018, n. 7723/2018; Cassazione – Terza Sezione Penale -sentenza n. 30874/2018);

- sia perché c’è differenza rispetto al processo amministrativo, in cui la pubblica amministrazione può addurre in sede di appello qualsiasi motivo da essa ritenuto idoneo a rinnovare la decisione del primo giudice (Consiglio di Stato, Sezione 4, sentenza n. 5190/2017), mentre in campo tributario ciò non è possibile in quanto i confini del processo sono sempre quelli dettati soltanto dalle ragioni poste a base dell’atto impositivo e dal successivo ricorso (Cassazione – Sezione Tributaria – sentenza n. 5072 del 13 marzo 2015, in Bollettino Tributario d’informazioni n. 14/2018, pagg. 1047-1050). Inoltre, per i rapporti tra il diritto amministrativo ed il diritto tributario si rinvia alla sentenza n. 4223/2017 del Consiglio di Stato – Sezione V – ed alla sentenza n. 7665/2016 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite).

Non si può, infatti, assistere inermi a dinamiche incomprensibili in base alle quali è nelle mani del MEF la totale gestione dell’organizzazione dei giudici tributari per le nomine, i trasferimenti e l’avanzamento di carriera.

Si dovrà, quindi, istituire un ruolo speciale ed autonomo della magistratura tributaria, distinto dalla magistratura ordinaria, amministrativa e contabile (c.d. QUARTA MAGISTRATURA), la quale, peraltro, dovrà avere in futuro anche un riconoscimento costituzionale (la magistratura militare rientra nella magistratura ordinaria).

“Apparenza di indipendenza che deve reggere ad un duplice vaglio, riguardante sia la percezione soggettiva del singolo giudice (per accertare se egli, direttamente chiamato in causa, avverte un disagio, l’ombra di una intromissione) sia quella oggettiva del quisque de populo (per sincerarsi che l’idea di giustizia data all’esterno non sia di sudditanza). A spartiacque, la giurisprudenza continentale individua, quali connotati salienti, la inamovibilità e l’emancipazione da pressioni esterne nonché la effettiva disponibilità di risorse e strumenti operativi.

Il diritto vive di forma, il giudice tributario non meno degli altri. Lo si diceva di Cesare, dell’immacolatezza della tunica di sua moglie. Noi rischiamo che, a dircelo del giudice tributario, sia la Corte di Strasburgo. E allora sarebbero guai” (in tal senso, l’ottimo articolo dell’Avv. Valdo Azzoni, in Bollettino Tributario n. 5/2017 pagg. 404 – 408).

In effetti, i suesposti principi sono stati più volte enunciati dalla Corte EDU con le decisioni del 10 gennaio 2012; 28 giugno 1984; 27 aprile 2000; 27 febbraio 2009; 03 ottobre 2012; 25 febbraio 1997; 23 luglio 2002 n. 34619/1997.

In merito “all’apparenza” di imparzialità ed indipendenza del giudice tributario, si cita la sentenza del TAR Lazio - Sezione I - n. 132 del 07 febbraio 2006 dove si afferma l’impossibilità dell’interessato a svolgere detto compito “in funzione dell’interesse pubblico tutelato dalla disposizione sull’incompatibilità, polarizzato non soltanto sulla sostanza sebbene anche sulla doverosa apparenza di imparzialità richiesta a qualsiasi giudice e a quello tributario in specie” (articolo dell’Avv. Antonino Russo, in Bollettino Tributario d’informazioni n. 2 del 30/01/2016, pag. 97).

2. Nuova denominazione delle Commissioni tributarie

Le Commissioni tributarie, proprio alla luce di quanto detto al punto 1), dovranno avere una diversa denominazione, come peraltro richiesto dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria (vedi lettera B n. 1):

- Tribunale Tributario;

- Corte d’Appello Tributaria;

- Corte di Cassazione Sezione Speciale Tributaria.

La proposta di cambio di denominazione è utile ad evidenziare il carattere di terzietà e di indipendenza della magistratura tributaria (si rinvia al condivisibile articolo del dott. U. Perrucci, in Bollettino Tributario d’informazioni del 2015, pag. 1474, e del 2014, pag. 1392).

Logicamente, nel nuovo ordinamento della giustizia tributaria, potranno continuare regolarmente a difendere gli attuali difensori tributari previsti dall’art. 12 D.Lgs. n. 546/92 citato, senza alcuna eccezione o limitazione (parere n. 299 del 05 febbraio 2018 del Consiglio di Stato – Sezione Atti Normativi -).

Infine, a titolo puramente informativo, si segnala la recente sentenza n. 29919 del 13 dicembre 2017 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, che ha stabilito il seguente, importante principio:

<<L’ordine di munirsi di assistenza tecnica impartito al contribuente autodifeso dal giudice di primo grado vale per tutto il corso del processo, e non deve essere reiterato in grado di appello, con conseguente inammissibilità dell’appello sottoscritto solo dal contribuente senza l’assistenza di un difensore>> (in Corriere Tributario Ipsoa, n. 18 del 07 maggio 2018).

3. I giudici tributari dovranno essere a tempo pieno e professionalmente competenti e nominati per concorso pubblico e non per titoli

Oggi i giudici tributari sono a tempo parziale e questo non garantisce una perfetta competenza e professionalità nel delicato settore fiscale.

Per tale ragione, l’assunzione del giudice tributario dovrà avvenire per concorso pubblico, per titoli ed esami a base regionale con specifico riferimento alle norme tributarie e processuali (art. 106, comma primo, della Costituzione).

Al concorso pubblico potranno partecipare tutti i laureati in giurisprudenza ed in economia e commercio.

L’accesso concorsuale tende a garantire l’indipendenza e la capacità tecnica dei magistrati che saranno chiamati ad espletare compiti in materie connotate da un elevato grado di tecnicismo giuridico, fiscale e contabile (le leggi tributarie confuse rendono confusa la giustizia tributaria).

Per la giustizia tributaria, infatti, occorrono giudici togati a tempo pieno, indipendenti ed imparziali ma anche pienamente preparati nelle materie da trattare (rinvio all’interessante articolo del Prof. F. Tesauro “Giusto processo e processo tributario”, in Rassegna tributaria, 2016, 11).

I giudici tributari dovranno essere al massimo 1.000 (mille).

I professionisti, per far parte delle Commissioni tributarie, dovranno cancellarsi dai rispettivi albi professionali.

Logicamente, a differenza di quanto accade oggi, i nuovi giudici tributari di merito non potranno far parte contemporaneamente della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (per la giusta critica all’attuale situazione, rinvio all’interessante articolo del Prof. C. Glendi pubblicato in Corriere Tributario Ipsoa, 2015, 2467).

A questo punto, secondo me, con il nuovo ordinamento della giustizia tributaria i nuovi giudici tributari potranno benissimo decidere sulla mediazione (art. 17-bis D.Lgs. n. 546/92 citato), perché non è più giustificato l’intervento in questa delicata fase dello stesso organo fiscale che ha notificato gli accertamenti.

Inoltre, a puro titolo informativo, secondo me, si dovrebbe consentire l’accertamento con adesione anche per le controversie catastali, oggi, ingiustificatamente non ammesso.

Infine, con la riforma della giustizia tributaria, logicamente deve essere totalmente abrogato il decreto legislativo n. 545 del 31/12/1992 e, per quanto riguarda la disciplina degli illeciti, deve farsi riferimento al D.Lgs. n. 109 del 23/02/2006 per i magistrati ordinari, con gli adattamenti necessari per le cause tributarie.

4. Giudice monocratico

Si dovrà prevedere l’istituzione di un Giudice Monocratico per tutte le controversie di importo non superiore a € 20.000,00 d’imposta, per le cause catastali e per i giudizi di ottemperanza senza limiti di importo.

Secondo me, deve rimanere il limite dei 20.000,00 euro d’imposta nonostante il limite della mediazione tributaria sia stato elevato ad € 50.000,00 dal 1° gennaio 2016 (art. 17-bis D.Lgs. n. 546/92 modificato dall’art. 9 D.Lgs. n. 156/2015) per evitare una eccessiva competenza di valore al giudice monocratico, perché tenendo conto anche delle sanzioni e degli interessi si arriva a cifre elevate (oltre 100.000,00 euro).

5. Dignitoso trattamento economico dei giudici tributari come per i magistrati ordinari

Oggi i giudici tributari non percepiscono alcun compenso per la sospensiva, e soltanto la misera somma di euro 15 nette a sentenza depositata (peraltro pagata con ritardo, si rinvia alla lettera E), n. 6).

Questi miseri compensi non fanno altro che offendere la dignità del giudice tributario ed ecco perché è necessario prevedere con urgenza un compenso dignitoso per le udienze di sospensiva e di merito, come per i giudici ordinari.

Inoltre, per i mille giudici tributari con compensi dignitosi e per l’intera organizzazione lo Stato pagherà in sostanza 210.000 euro come oggi (vedi lett. E, n. 3).

Ciò posto, non si deve pensare che l’esigenza della suddetta riforma sia giustificata dai recenti scandali e arresti dei giudici tributari (si vedano i casi di Roma, Napoli, Milano e Bari), ma la riforma è necessaria perché i giudici tributari devono essere giudici professionali, ben pagati, indipendenti (anche all’apparenza) dal MEF e competenti.

Ormai è arrivato il momento indifferibile di riformare strutturalmente le attuali Commissioni tributarie e prevedere giudici tributari a tempo pieno, non più dipendenti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ma dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

In conclusione, ritengo opportuno rilevare che il mio disegno di legge di riforma delle Commissioni tributarie riprende molti concetti organizzativi del processo tributario tedesco.

Soltanto una magistratura tributaria autonoma, indipendente e professionale può, infatti, garantire un sistema tributario equo ed efficiente.

Il professore Antonio Uckmar già nel 1949, sul punto, scriveva che “Qualunque sia per essere la riforma del sistema tributario, la stessa non raggiungerà il suo scopo se non sarà preceduta da una riforma radicale del contenzioso, che ponga sullo stesso piano i due litiganti e dia garanzia per il raggiungimento della giustizia” (La riforma del contenzioso tributario, in Diritto e Pratica tributaria, 1949, I, 138 e ss.).

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F) DISEGNO DI LEGGE N. 243/2018 DEL SEN. LUIGI VITALI (“ORDINAMENTO DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA”)

La mia proposta legislativa di cui alla precedente lett. F) è stata integralmente ripresa:

1) inizialmente, nella passata legislatura, dal disegno di legge n. 1593 della Sen. Gambaro comunicato alla Presidenza del Senato il 06 agosto 2014;

2) successivamente, sempre nella passata legislatura, dalla proposta di legge n. 4755 del 23/11/2017 presentata alla Camera dei Deputati dall’On. Rocco Palese;

3) nell’attuale legislatura, dal disegno di legge n. 243 del 10 aprile 2018 presentato al Senato dal Sen. Luigi Vitali “Ordinamento della giurisdizione tributaria” ed attualmente assegnato alla Commissione Permanente Finanze e Tesoro del Senato (pubblicato integralmente sul mio sito www.studiotributariovillani.it); rinvio al mio articolo “Giustizia tributaria verso la riforma?” pubblicato in Quotidiano Ipsoa del 04 giugno 2018).

G) DISEGNO DI LEGGE N. 244/2018 DEL SEN. LUIGI VITALI (“DEFINIZIONE AGEVOLATA DELLE LITI FISCALI PENDENTI” -C.D. PACE FISCALE)

L’approvazione della riforma strutturale della giustizia tributaria comporta, necessariamente, l’azzeramento di tutto il contenzioso tributario oggi pendente di oltre 100 miliardi di euro, che coinvolge circa 21 milioni di contribuenti.

Appunto per questo, ho predisposto una definizione delle liti fiscali pendenti interamente ripresa dal disegno di legge n. 244 del 10 aprile 2018 presentato al Senato dal Sen. Luigi Vitali “Definizione agevolata delle liti fiscali pendenti” (c.d. pace fiscale) ed attualmente assegnato alla Commissione Permanente Finanze e Tesoro del Senato (pubblicato integralmente sul mio sito www.studiotributariovillani.it) .

A tal proposito, si riporta quanto dichiarato dal sottosegretario del MEF Massimo Bitonci e pubblicato da Italia Oggi del 17/07/2018:

“Una pacificazione di ampio respiro e con un orizzonte ambizioso: si parte dall’accesso della Guardia di Finanza per arrivare all’ultimo grado di giudizio nel processo tributario e da lì per arrivare anche ad una riforma del processo tributario”.

L’obiettivo è quello di definire in maniera bonaria i rapporti del contenzioso tributario per approdare ad una strutturale riforma della giustizia tributaria.

Nella definizione agevolata delle liti fiscali pendenti, contrariamente a quanto previsto dall’ultima definizione (art. 11 D.L. n. 50/2017, convertito dalla Legge n. 96/2017 e Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 22/E del 28/07/2017), secondo me, si deve sempre tenere conto delle sentenze depositate nello stabilire le percentuali di definizione della sola imposta, annullando le sanzioni e gli interessi.

Oltretutto, sulla c.d. pace fiscale per definire tutte le liti pendenti e contemporaneamente riformare la giustizia tributaria, si sono espressi favorevolmente:

- lo stesso Ministro del MEF Prof. Giovanni Tria (Il Sole 24 Ore di domenica 12 agosto 2018 e mercoledì 08 agosto 2018);

- il Presidente del Consiglio Avv. Giuseppe Conte, nell’intervista pubblicata sul mio sito www.studiotributariovillani.it;

- il Sen. Armando Siri (Italia Oggi di mercoledì 15 agosto 2018);

- il Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia (Il Sole 24 Ore di martedì 14 agosto 2018).

Attualmente, sono quasi mezzo milione le liti tributarie interessate dalla pace fiscale, che coinvolgono 21 milioni di contribuenti.

Secondo le ultime statistiche del MEF sul contenzioso, aggiornate al primo trimestre 2018, ci sono 461.741 cause pendenti tra le Commissioni tributarie provinciali, regionali e la Cassazione, cui corrisponde un controvalore stimabile in 75,4 miliardi (Il Sole 24 Ore di lunedì 20 agosto 2018).

E’ su questo scenario che si innesta il piano messo a punto dalla Lega e consegnato al Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, tra i dossier della manovra e le altre misure di pace fiscale, comprese le possibili sanatorie di ruoli, avvisi di accertamento e verbali di constatazione (c.d. PACE FISCALE).

“Il piano prevede la possibilità di chiudere la causa senza pagare sanzioni e interessi, mentre l’imposta reclamata dal Fisco potrà essere più o meno defalcata a seconda delle situazioni. Secondo il progetto allo studio, se il processo è in secondo grado e il contribuente si è già visto dar ragione dalla CTP, potrà pagare il 50% dell’imposta contestata. Se è in Cassazione e ha già vinto nei due gradi di giudizio precedenti, lo sconto sarà pari all’80% del tributo. Invece, nei casi di vittoria del Fisco o verdetto intermedio (ad esempio, quando la Commissione ha ridotto l’imposta contestata), si dovrà arrivare a una conciliazione, fermo restando lo sgravio di sanzioni e interessi” (articolo di Cristiano Dell’Oste e Giovanni Parente, in Il Sole 24 Ore di venerdì 24 agosto 2018; articolo di Marino Longoni, in Italia Oggi di lunedì 03 settembre 2018).

In merito al succitato piano, non sono d’accordo a lasciare tra le parti una conciliazione mentre ritengo più opportuno, per evitare contrasti interpretativi e quantitativi, determinare in modo chiaro e preciso le percentuali di riduzione, così come previsto dal disegno di legge n. 244/2018 del Sen. Luigi Vitali.

Infine, non bisogna dimenticare che ultimamente:

- il Governo sta studiando una voluntary <<3.0>> (Il Sole 24 Ore di martedì 14 agosto 2018);

- è stato approvato il condono parziale delle sanzioni per violazioni al vecchio codice della privacy (D.Lgs. dell’08 agosto 2018, in Il Sole 24 Ore di giovedì 09 agosto 2018 e Italia Oggi di lunedì 20 agosto 2018);

- è stata già prevista una precedente definizione agevolata delle controversie tributarie (art. 11 D.L. n. 50 del 24/04/2017, convertito con modificazioni dalla Legge n. 96 del 21/06/2017), senza inoltre dimenticare le due rottamazioni dei ruoli da ultimo concluse.

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H) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Nella generale discussione sulla riforma fiscale, un ruolo preminente spetta alla necessaria ed urgente riforma della giustizia tributaria per consentire al cittadino–contribuente di potersi difendere efficacemente davanti ad un giudice tributario terzo ed imparziale (art. 111, secondo comma, della Costituzione), come peraltro più volte segnalato dalla Corte Costituzionale, anche con l’ultima ordinanza del 20 ottobre 2016.

Infatti, la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 227 del 20 ottobre 2016 ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia in merito all’ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria (ordinanza n. 280 del 14 ottobre 2014).

In particolare, la CTP di Reggio Emilia aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, 13, 15, 29-bis, 31, 32, 33, 34 e 35 Decreto legislativo n. 545/92 nonché degli articoli 6 Decreto legislativo n. 546/92 (astensione e ricusazione dei componenti delle Commissioni tributarie) e 51 c.p.c. (astensione del giudice).

In sostanza, la CTP di Reggio Emilia dubitava che l’ordinamento e l’organizzazione della giustizia tributaria fossero compatibili con la garanzia di indipendenza anche apparente del giudice, richiesta dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) in tema di “equo processo”, ai sensi dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la Legge n. 848 del 04 agosto 1955.

Inoltre, la CTP di Reggio Emilia riteneva che l’assetto ordinamentale ed organizzativo – gestionale della giustizia tributaria violasse gli articoli 101, 111 e 117, primo comma, della Costituzione.

Secondo il rimettente, l’inquadramento della giustizia tributaria nel Ministero dell’Economia e delle Finanze lede l’indipendenza apparente del giudice, così come richiesta nell’interpretazione fornita dalla Corte EDU.

L’apparente indipendenza dei giudici tributari, oltretutto, sarebbe lesa anche dalla disciplina del loro inadeguato trattamento retributivo.

Nel giudizio svolto dinanzi alla Corte Costituzionale si era costituita l’Associazione Magistrati Tributari, aderendo alle censure espresse dal giudice di Reggio Emilia e chiedendo di conseguenza che le questioni fossero accolte.

Oltretutto, il Presidente del Consiglio dei Ministri aveva depositato una memoria illustrativa, ribadendo le eccezioni di inammissibilità e rilevando che le modifiche degli articoli 2 e 15 Decreto Legislativo n. 546/92, introdotte dal Decreto Legislativo n. 156/2015 a decorrere dal 1° gennaio 2016, imponessero di restituire gli atti al giudice a quo per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni.

La Corte Costituzionale, con la succitata ordinanza n. 227/2016, ha preliminarmente dichiarato inammissibile l’intervento dell’Associazione Magistrati Tributari perché non titolare di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, che ne legittimi l’intervento ed inoltre perché l’interesse collettivo prospettato non è correlato con le specifiche e peculiari posizioni soggettive dedotte dalle parti nel giudizio.

Anche le questioni sollevate dalla CTP di Reggio Emilia sono state dichiarate inammissibili.

Infatti, secondo la Corte Costituzionale il giudice rimettente invocava plurimi interventi additivi, diretti da un lato a delineare un nuovo assetto dell’ordinamento e dell’organizzazione della giustizia tributaria e dall’altro lato ad aggiungere una nuova causa di astensione del giudice tributario.

Inoltre, le eccezioni sollevate erano indeterminate ed ambigue, richiedendo la modifica di un intero sistema di norme.

Secondo i giudici costituzionali, interventi di questo tipo – manipolativi di sistema – sono in linea di principio estranei alla giustizia costituzionale, poiché eccedono i poteri di intervento della Corte Costituzionale, implicando scelte affidate alla sola discrezionalità del legislatore.

Analoghe considerazioni valgono anche per la censurata mancanza di autonomia di gestione finanziaria e contabile delle Commissioni tributarie, “essendo anche in questo caso del tutto evidente l’incertezza dell’intervento additivo richiesto, a fronte delle molteplici forme e graduazioni che potrebbe assumere l’auspicata autonomia della giurisdizione tributaria”.

In definitiva, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate perché, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l’eterogeneità delle norme censurate e la carenza di una reciproca ed intima connessione tra esse non consente di introdurre validamente un giudizio di legittimità costituzionale.

Questa ordinanza, però, auspica l’intervento urgente del legislatore per dare una vera autonomia alla giurisdizione tributaria e questo importante messaggio della Corte Costituzionale non deve cadere nel vuoto ma deve essere di stimolo al legislatore per un necessario intervento di modifica dell’intero sistema processuale tributario.

In definitiva, la giustizia tributaria non deve più dipendere dal MEF e deve avere giudici professionali, a tempo pieno, assunti per concorso pubblico e ben retribuiti per la delicata funzione che svolgono (come i magistrati ordinari).

Questi principi sono stati più volte ribaditi sia dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 154/1984; sentenza n. 212/1986; ordinanza n. 144/1998) sia dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con le sentenze nn. 13902/2007 e 8053/2014.

In particolare, la Corte Costituzionale, con la citata ordinanza n. 144/1998, proprio su una mia eccezione sollevata alla CTP di Lecce il 24/02/1997, ha chiarito e stabilito il seguente principio (si rinvia alla lettera C):

“Per le preesistenti giurisdizioni speciali, una volta che siano state assoggettate a revisione, non si crea una sorta di immodificabilità nella configurazione e nel funzionamento, né si consumano le potestà di intervento del legislatore ordinario; che questi conserva il normale potere di sopprimere ovvero di trasformare, di riordinare i giudici speciali, conservati ai sensi della VI disposizione transitoria, o di ristrutturarli nuovamente anche nel funzionamento e nella procedura, con il duplice limite di non snaturare (come elemento essenziale e caratterizzante la giurisprudenza speciale) le materie attribuite alla loro rispettiva competenza e di assicurare la conformità a Costituzione, fermo permanendo il principio che il divieto di giudici speciali non riguarda quelli preesistenti a Costituzione e mantenuti a seguito della loro revisione”.

In definitiva, sia la Corte Costituzionale sia la Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, consentono che il legislatore ordinario possa sopprimere e ristrutturare le Commissioni Tributarie, così come previsto dai due disegni di legge da me predisposti e presentati al Senato il 10 aprile 2018 dal Sen. Vitali (nn. 243 e 244), creando la quarta magistratura, in aggiunta a quella ordinaria, amministrativa e contabile.

I due disegni di legge riguardano la riforma della giustizia tributaria (n. 243/2018) e la definizione delle liti fiscali pendenti (n. 244/2018) ed attualmente sono stati assegnati alla Commissione Finanze e Tesoro del Senato.

In vista della c.d. <<rivoluzione fiscale>> con la legge di Bilancio 2019, spero che il legislatore approvi definitivamente i due succitati disegni di legge e realizzi finalmente l’auspicata riforma strutturale della giustizia tributaria, da anni da tutti attesa e voluta.

PROF.AVV. MAURIZIO VILLANI

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