La CEDU dice “No” a una maternità surrogata all'estero

La CEDU dice “No” a una maternità surrogata all'estero: rigettato il ricorso presentato contro la Francia da una madre che voleva ottenere le cellule sessuali del figlio morto di cancro per trasferirle in Israele o negli Stati Uniti per diventare nonna.

La CEDU dice “No” a una maternità surrogata all'estero

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La Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ha rigettato il ricorso presentato contro la Francia da una madre che voleva ottenere i gameti del figlio morto di cancro a 23 anni per trasferirli in Israele o negli Stati Uniti, per diventare nonna. Nella decisione, che è definitiva, i magistrati di Strasburgo affermano che la donna non può rivendicare il rispetto del diritto alla vita privata e familiare perché questo non garantisce un diritto a diventare nonni. D'altro canto la donna non può neanche rivendicare il rispetto allo stesso diritto per suo figlio, in quanto il diritto a divenire genitore fa parte della categoria dei diritti non trasferibili. A presentare il ricorso a Strasburgo, evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è stata Dominique Petithory Lanzmann, moglie del giornalista, scrittore e regista Claude Lanzmann, autore del film Shoah. Il loro figlio è morto nel gennaio 2017 all'età di 23 anni. Quando gli fu diagnosticato il cancro nel 2014, l'uomo espresse il desiderio di diventare padre anche in caso di morte e aveva quindi depositato i suoi gameti in un ospedale a Parigi. A causa della sua malattia non era riuscito a far trasferire i gameti all'estero. Dopo la morte del figlio, Petithory Lanzmann ha richiesto ai tribunali francesi di permettere il trasferimento dei gameti in Israele o negli Stati Uniti, Paesi in cui potrebbero essere utilizzati per una gestazione per altri (maternità surrogata). La richiesta è sempre stata rigettata anche perché, dicono i giudici francesi, la legge non permette il trasferimento di gameti per pratiche proibite in Francia. Ora anche la Corte di Strasburgo ha respinto il ricorso in cui Petithory Lanzmann sosteneva che l'impossibilità di trasferire i gameti violasse il diritto al rispetto della vita privata e familiare sia di suo figlio che suo.

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