La crudele tradizione della faida in Albania e che fa ancora bambini tra le vittime.
Se il Paese delle Aquile vuole entrare in Europa deve dimostrare di aver debellato la tradizione della "vendetta"
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Il 16 settembre scorso il presidente della Commissione Europea, Josè Manuel Barroso ha annunciato l’imminente possibilità che l’Albania possa ottenere a brevissimo lo status di Paese candidato all’adesione all’Unione Europea. Ed ha anche precisato che dopo il corretto svolgimento delle ultime elezioni l’obiettivo per Tirana “è a portata di mano”. Però saranno necessari “ulteriori sforzi” nel campo della lotta contro la corruzione ed il crimine organizzato. Sono questi, infatti, i principali ostacoli sulla strada dell’ingresso del Paese nell’Ue.
Il presidente della Commissione Ue si è rivolto non solo al governo del Paese balcanico, ma anche all’opposizione e alla società civile. “Si tratta di uno sforzo molto importante che richiede la mobilitazione di tutti gli albanesi”, cioè non solo del governo, ma anche di opposizione e società civile” ha precisato forse riferendosi ad aspetti culturali del Paese delle Aquile che devono essere immediatamente superati per un definitivo adeguamento agli standard europei anche in tema di diritti umani, così come la tradizione della “vendetta”, che risale al 15 ° secolo e non risparmia nessun maschio di una famiglia, compresi i neonati.
La brutale usanza è ampiamente seguita nelle povere regioni di montagna del nord del paese, ma anche in alcuni villaggi e città di altre regioni.
Secondo alcune associazioni non governative del paese balcanico, quasi 600 bambini albanesi erano in grado di iniziare il nuovo anno scolastico a settembre, ma erano nascosti nelle proprie case a causa delle minacce di faida, che a volte si estendono ora a donne e ragazze.
La polizia ha stabilito ufficialmente che ci sono state 225 vittime di faide in Albania negli ultimi 14 anni, ma gruppi di attivisti stimano che il numero reale potrebbe essere molto più alto.
In Albania, la tradizione della faida è stato sviluppata a causa di un sistema giudiziario debole che ha spinto le persone a regolare i conti per conto proprio, sostengono sociologi e studiosi del fenomeno.
Durante l&\#39;era comunista in Albania, a partire dalla fine della seconda guerra mondiale fino al 1992, una rigorosa applicazione della pena di morte nei casi di vendetta aveva permesso al regime di sopprimerla.
Dal momento che il comunismo è caduto, la pena massima è l&\#39;ergastolo, ma una mancanza di fiducia nel sistema giudiziario ha portato ad una escalation in faide.
Per Giovanni D&\#39;Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, rifacendosi all’appello di Barroso per un ingresso a breve dell’Albania in Ue, ritiene che tutte le strutture dello Stato ma anche la società civile albanese tutta, devono dimostrare un vero e proprio impegno per porre fine alla pratica crudele, che può far deragliare la vita non solo dei destinatari, spesso bambini e finanche neonati, ma anche di coloro che cercano vendetta.