LE “PUBLIC UTILITIES” E LE DEDUZIONI IRAP: CTP Lecce, sentt. n. 2826 e n. 2825 del 01.09.2017
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La Commissione Tributaria di Lecce – Sezione 2 - nei giorni scorsi ha accolto due ricorsi presentati dall’Avvocato tributarista Maurizio Villani e ha, quindi, totalmente annullato gli avvisi di accertamento notificati a due società salentine per l’anno 2011 (del valore di € 794.112,60 oltre interessi) e per l’anno 2012 (del valore di € 335.268,30, oltre interessi).
Più specificamente, l’amministrazione finanziaria aveva sostenuto che le due società coinvolte avessero effettuato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani in regime di concessione (e non di appalto) e che, pertanto, avessero beneficiato illegittimamente delle deduzioni Irap di cui all'art. 11, comma 1, lett. a) nn. 2), 3) e 4) del d.lgs. n. 446/97.
Di contro, le società ricorrenti, avevano sostenuto di aver operato in regime di contratto d’appalto e di rientrare, quindi, nel novero delle imprese legittimate a beneficiare delle succitate deduzioni IRAP.
Invero, con l’art.11, comma 1, lettera a) del D.lgs. n.446/97 sono stati, infatti, introdotti specifici sgravi per ridurre la base imponibile Irap, in presenza di personale dipendente impiegato a tempo indeterminato; al contempo, però, sono stati esclusi dalla fruizione delle suddette deduzioni, tra gli altri, i soggetti operanti in concessione e a tariffa (c.d. public utilities) nei settori dell’energia elettrica, dell’acqua, dei trasporti, delle infrastrutture, delle poste, delle telecomunicazioni, della raccolta e depurazione delle acque di scarico e della raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Ebbene, proprio per tale ragione e stante il sottile divario che c’è tra un’azienda operante in concessione ed una azienda operante in appalto, al fine di meglio capire a quel tipo di attività possano applicarsi le deduzioni sul cuneo finale (onde evitare, peraltro, di incorrere in errori in casi di deduzioni in sede di dichiarazione Irap), di seguito si esamineranno gli sviluppi normativi e le molteplici pronunce giurisprudenziali con cui sono stati forniti i chiarimenti necessari.
Più precisamente, attraverso un notevole lavoro interpretativo svolto dai giudici di merito (tributari e amministrativi) e dai giudici di legittimità, si è inteso fissare una linea di demarcazione netta tra le imprese operanti “in concessione e a tariffa” e le imprese operanti in “appalto di servizi” al fine di:
- chiarire le caratteristiche delle une e delle altre;
- e specificare quando ricorrano i presupposti tesi a consentire il diritto alle deduzioni in sede di dichiarazione Irap come sopra descritte.
Considerata, dunque, la difficoltà di tracciare una netta distinzione tra il contratto di concessione e quello di appalto, la giurisprudenza ha specificamente precisato che si è in presenza di:
1. “concessione” quando:
a. l’operatore assume su di sé i rischi connessi alla realizzazione e gestione del servizio. Invero, “(…) Le concessioni, nel quadro del diritto comunitario, si distinguono dagli appalti non per il titolo provvedimentale dell'attività, nè per il fatto che ci si trovi di fronte ad una vicenda di trasferimento di pubblici poteri o di ampliamento della sfera giuridica del privato, (che sarebbe un fenomeno tipico della concessione in una prospettiva coltivata da tradizionali orientamenti dottrinali), ne' per la loro natura autoritativa o provvedimentale rispetto alla natura contrattuale dell'appalto, ma per il fenomeno di traslazione dell'alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato(…)”(Cass., sezione 6 civile, ord. 6 maggio 2015, n. 9139). In buona sostanza, “(…) La differenza tra l’appalto e la concessione di servizi è contenuta soprattutto dalla normativa comunitaria, che individua il discrimine tra le due figure soprattutto nel rischio operativo che deve sempre gravare sul concessionario, e che non sussiste allorché l’amministrazione pubblica si obbliga a coprire le eventuali perdite occorse nell’esercizio dell’attività esercitata comunque nell’interesse pubblico(…)”.(TAR-Genova, sezione 2 sentenza 19 novembre 2014, n. 1670).
In buona sostanza, “(…) la caratteristica principale di una concessione, ossia il diritto di gestire un lavoro o un servizio, implica sempre il trasferimento al concessionario di un rischio operativo di natura economica che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori e i servizi (…)”(direttiva 2014/23/UE).
Orbene, la giurisprudenza in questo modo ha inteso chiarire che la concessione si distingue non tanto per il titolo provvedimentale dell’attività, né per la sua natura autoritativa rispetto a quella contrattuale dell’appalto, bensì per il fenomeno di traslazione vera e propria dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato (cfr., Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.7 del 30 gennaio 2014).
b. l’impresa trae la propria remunerazione direttamente dall’utenza venendosi così a creare un vero e proprio rapporto trilaterale tra P.A. concedente, azienda concessionario e utente. Il concessionario, quindi, ottiene il proprio compenso non già dall’Amministrazione (come avviene nelle ipotesi in cui vi sia un appalto), ma dall’esterno, cioè dal pubblico che fruisce del servizio.
Ebbene, “(…) si ha una concessione quando in base al titolo l'operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l'onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull'Amministrazione”. (Consiglio di stato, sezione 5 sentenza 18 giugno 2015, sent. n. 3120). Invero, “la qualificazione come concessione di servizio pubblico deriva dalla circostanza che il corrispettivo non è a carico dell'Amministrazione e che l'erogazione del servizio, accompagnata dalla corresponsione di un canone, è compensata dalla concessione del diritto di sfruttare economicamente, ed in esclusiva, il servizio”. (Consiglio di stato, sezione 3 ordinanza 12 maggio 2016, sent. n. 1927).
È la modalità della remunerazione, quindi, il tratto distintivo della concessione dall'appalto di servizi (dove, infatti, il rischio legato alla prestazione non viene trasferimento in capo al prestatore). (Cass., sezione 6 civile, ordinanza 6 maggio 2015, n. 9139).
Nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste, dunque, unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio; l’elemento dirimente della concessione è costituito, infatti, dall’alea economica connessa alla gestione del servizio. “(…) Il diritto di gestione permette al concessionario di percepire per un tempo determinato alcuni diritti derivanti dalla gestione che costituiscono il corrispettivo dell'operazione, sopportando, in conseguenza l'alea legata all'aspetto finanziario dell'operazione la cui controprestazione dipende dal comportamento degli utenti del servizio(…)”. (T.a.r. puglia, i, sentenza 25.2.2010, n. 680).
In definitiva, “Il concessionario - a differenza di quanto avviene nell'appalto di servizi (nell'ambito del quale l'Amministrazione riceve dal contraente una prestazione ad essa destinata, in cambio di un corrispettivo) - ottiene il proprio compenso non già dall'Amministrazione ma dall'esterno, ovvero dal pubblico che fruisce del servizio stesso, svolto dall'impresa con assetto organizzativo autonomo e con strumenti privatistici, come è usuale per i servizi alimentari, come quello in esame. Sul piano economico, il rapporto complessivo è dunque trilaterale, poiché coinvolge l'Amministrazione concedente (che resta titolare della funzione trasferita), il concessionario e il pubblico. Il concessionario utilizza quanto ottiene in concessione (nel caso specie: il servizio con l'utilizzo di spazi interni alla sede dell'ente pubblico) a fini legittimi di lucro, assumendo - come richiede il diritto europeo - il rischio economico connesso alla gestione del servizio, svolto con mezzi propri; per godere delle risorse materiali appartenenti all'Amministrazione, il medesimo normalmente corrisponde un canone e non riceve dall'Amministrazione alcun corrispettivo. In conformità all'art. 30 del Codice dei contratti pubblici, infatti, "la controprestazione [dell'Amministrazione] a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto [dato al concessionario] di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente [verso il pubblico] il servizio". (Consiglio di stato, sezione 6 sentenza 16 luglio 2015, n. 3571).
2. “appalto” tutte le volte in cui:
a. il rischio e l’onere del servizio continuano a permanere in capo all’Amministrazione venendosi così a costituire un rapporto di natura bilaterale tra P.A. e appaltatore.
Invero, “Ai fini dell'ordinamento comunitario la linea di demarcazione tra appalti pubblici di servizi e concessioni di servizi (per il resto accomunati sia dall'identica qualificazione in termini di "contratti" che dall'omologia dell'oggetto materiale dell'affidamento) è netta, poiché l'appalto pubblico di servizi, a differenza della concessione di servizi, riguarda di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comporta il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione, ed infine non determina, in ragione delle modalità di remunerazione, l'assunzione del rischio di gestione da parte dell'affidatario…(…)”, (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, sezione 6, sentenza 4 settembre 2012, n. 4682 e Cass., sezione 6 civile, ord. 6 maggio 2015, n. 9139)
b. l'imprenditore ottiene dall'Amministrazione aggiudicatrice il compenso pattuito, e non ha necessità di avere rapporti negoziali con i reali utenti finali del servizio offerto; l'onere del servizio stesso viene, dunque, a gravare sostanzialmente sull'Amministrazione (cfr., in tal seno, Cons. di St., IV, 13.3.2014, n. 1243, nonché T.A.R. Puglia, I, 25.2.2010, n. 680, e T.A.R. Liguria - genova, sezione 2, sentenza 19 marzo 2015, n. 323).
Ciò posto, può concludersi che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, si ha concessione quando l’operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull’utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto quando l’onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull’amministrazione (in tal senso, ex plurimis: Consiglio di Stato, sent. nn. 4682/2012; 5068/2011; 3377/2011).
Gli approdi sopra ricordati conducono, pertanto, a ravvisare nella soggezione al rischio di impresa e alla conseguente modalità di remunerazione gli elementi discriminanti della concessione rispetto a quelli dell’appalto.
In buona sostanza, in sede di dichiarazione Irap sarà fondamentale capire se l’impresa in questione abbia le caratteristiche di una impresa “in concessione traslativa e a tariffa” o, al contrario, di un’impresa appaltatrice di servizi posto che nel primo caso, non si potrà usufruire delle deduzioni ex art. 11 d.lgs n.446/1997(fino al 31.12.2014), mentre nel secondo, sì. Può, infatti, concludersi che, la giurisprudenza (chiamata ad affinare i contorni della “chiave” interpretativa proposta dall’Agenzia delle Entrate), soffermandosi preliminarmente sulla natura giuridica del contratto, ha affermato che il diritto alle agevolazioni (e cioè alle deduzioni in sede di dichiarazione Irap) in questione, deve riconoscersi solo in capo alle società che espletano servizi in favore di enti pubblici mediante contratti riconducibili nell’alveo degli appalti e non in quello delle concessioni (in tal senso cfr. CTP Brescia sent. n.62/2012; CTP Venezia sent. n.131/2011).
Ebbene, venendo al caso di specie, i giudici tributari leccesi, aderendo agli approdi raggiunti dalla giurisprudenza citata, hanno annullato gli avvisi di accertamento, rilevando che le due società avevano effettuato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani in regime di appalto e non di concessione, per cui nei loro confronti erano state correttamente applicate le deduzioni IRAP in presenza di personale dipendente impiegato a tempo indeterminato (art. 11, lettera a), D.Lgs. n. 446/97).
Invero, spiegano i giudici, << (…) nella fattispecie, trova applicazione il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui si ha concessione quando l'operatore si assume in concreto i rischi economici della gestione del servizio, rifacendosi essenzialmente sull'utenza per mezzo della riscossione di un qualsiasi tipo di canone o tariffa, mentre si ha appalto di servizi quando l'onere del servizio stesso viene a gravare sostanzialmente sull'Amministrazione (Cons. Stato n. 5068/2011; n. 3377 /2012; n. 4682/2012; n. 2624/2014) …. Discende da tale impostazione che la concessione di servizi involge un rapporto trilaterale, che interessa l'Amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio, nell'ambito del quale il costo del servizio grava, in definitiva, sugli utenti. Nell'appalto di servizi, per contro, il rapporto è bilaterale tra Amministrazione e appaltatore, il quale è remunerato dalla prima per le prestazioni svolte (in termini, Cons. Stato n. 2294/2002)>>.
Ebbene, applicando tali principi al caso di specie, i giudici tributari hanno attribuito natura giuridica di appalto di servizi ai rapporti intercorsi tra le società coinvolte e gli enti locali (comuni, enti di ambito e di bacino) per la gestione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nel periodo d'imposta in considerazione, confermando così la legittimità dell’atteggiamento delle società nell’usufruire delle deduzioni dalla base imponibile Irap.
Nei rapporti in questione, ribadiscono i giudici tributari, non è mai previsto un corrispettivo ancorato alla variazione della domanda, né l’obbligo dei Comuni di coprire eventuali perdite derivanti dalla gestione del servizio. << Di fatto, con i contratti in esame si è instaurato un rapporto bilaterale tra le società coinvolte e i singoli enti locali, al quale rimangono estranei gli utenti del servizio, rispetto ai quali si configura un autonomo rapporto con l'ente pubblico in relazione al pagamento del servizio affidato in appalto>>.
In definitiva, con riferimento ai contratti in oggetto, è stata accertata la sussistenza dei presupposti necessari affinché le società potessero beneficiare dell’applicazione dell’art. 11 del D.Lgs. m. 446/1997. Non sono stati provati, infatti, né singolarmente, né in combinato tra loro, gli elementi previsti dalla legge per l’esclusione delle attività in esame dall’ambito di applicabilità delle richiamate deduzioni, ovvero: la sussistenza di una concessione traslativa e l’applicazione di una tariffa per la remunerazione del servizio.
A fronte di tanto, con le sentenze n. 2826 e n. 2825 del 01.09.2017, i giudici di merito hanno accolto i ricorsi e annullato gli avvisi di accertamento suddetti per un ammontare complessivo di circa 1 milione di euro.
CONCESSIONE
1. Il concessionario assume su di sé i rischi connessi alla realizzazione e gestione del servizio;
2. l’impresa trae la propria remunerazione direttamente dall’utenza venendosi così a creare un vero e proprio rapporto trilaterale tra P.A. concedente, azienda concessionario e utente. Il concessionario, quindi, ottiene il proprio compenso non già dall’Amministrazione (come avviene nelle ipotesi in cui vi sia un appalto), ma dall’esterno, cioè dal pubblico che fruisce del servizio.
APPALTO
1. il rischio e l’onere del servizio continuano a permanere in capo all’Amministrazione venendosi così a costituire un rapporto di natura bilaterale tra P.A. e appaltatore;
2. l'imprenditore ottiene dall'Amministrazione aggiudicatrice il compenso pattuito e non ha necessità di avere rapporti negoziali con i reali utenti finali del servizio offerto; l'onere del servizio stesso viene, dunque, a gravare sostanzialmente sull'Amministrazione.
Avv. Maurizio Villani