Le spese folli in giro per l'Italia. Nella triste classifica degli sprechi vi è l'arredamento dei dirigenti degli Enti. L'ultima la scrivania modello "Quirinale" per il Presidente della Camera di Commercio di Lecce
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Nel Paese di Bengodi di boccaccesca memoria non si è mai badato a spese. E l’Italia e i suoi innumerevoli apparati, le sue amministrazioni, enti, nonostante la crisi, il suo debito pubblico tendente all’infinito, sembra continuare ad essere il Paese di Bengodi. Non per tutti, però, perché rimane ancora una classe di privilegiati arroccati all’interno di quegli apparati, amministrazioni, enti che sembra continuare a vivere in un paese che non c’è, distante mille anni luce da quello reale.
Ed è così che mentre per una famiglia media italiana un salotto dura almeno dieci anni, dopo averlo acquistato quantomeno a rate, per chi siede nell’amministrazione pubblica o in enti parapubblici cambiare una poltrona, una scrivania o più in generale l’arredamento continua ad essere più semplice e comodo, specie se si fa con denari che non sono propri.
Se è giusto che 605,00 euro per l’acquisto di una poltrona per un dirigente del Comune di Lecce di questi tempi sono sembrati troppi ai cittadini, appare scontato che la scrivania di marca Pineider modello “Quirinale” nonché un set da scrivania modello “porcelline de Paris, decor ex libris” per i quali è stata impegnata una spesa di euro 2.050,00 iva inclusa, provocano ancor più indignazione.
Si tratta, dell’arredo, è proprio il caso di dirlo, presidenziale, della stanza del Presidente della Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Lecce, a seguito di una determina dirigenziale che Giovanni D&\#39;Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, ritiene utile segnalare perché non si ripeta più questo pugno nell’occhio a milioni di cittadini e d’imprese che si trovano in difficoltà anche perché un passo indietro, magari attraverso il semplice recupero di qualche arredo o l’acquisto di una scrivania meno pretenziosa, che poteva essere un gesto dignitoso e di rispetto nei confronti della cittadinanza non crediamo sia più possibile.