Lo Stato deve sempre pagare i danni anche se il vaccino covid-19 non è obbligatorio
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Nell’attuale dibattito sull’obbligatorietà o meno del vaccino Covid – 19 si dimentica spesso il fatto che la Corte Costituzionale si è più volte pronunciata su questa polemica ed ha stabilito, correttamente, il principio secondo cui lo Stato deve sempre pagare i danni anche se il vaccino non è obbligatorio, logicamente solo in caso di una menomazione della integrità psico - fisica da valutare in sede medica.
Infatti, bisogna partire dalla Legge n. 210 del 25 febbraio 1992 che, all’art. 1, comma 1, dal titolo “Lesioni o infermità derivanti da vaccinazioni”, testualmente dispone.
“Chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla presente legge.”
Il suddetto articolo è stato più volte dichiarato incostituzionale con le seguenti pronunce della Corte Costituzionale:
1) è costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 1, nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica nel periodo di vigenza della legge 30 luglio 1959, n. 695 (Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica) (Corte cost.23-26.02.1998, n. 27, G.U.04.03.1998, n. 9, Prima Serie speciale);
2) è costituzionalmente illegittimo l'art. 1 comma 1, nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antiepatite B, a partire dall'anno 1983 (C. cost. 09 - 16.10.2000, n.423).
3) è costituzionalmente illegittimo l'art. 1 nella parte in cui non prevede che i benefici previsti dalla legge stessa spettino anche agli operatori sanitari che, in occasione del servizio e durante il medesimo, abbiano riportato danni permanenti alla integrità psico-fisica conseguenti a infezione contratta a seguito di contatto con sangue e suoi derivati provenienti da soggetti affetti da epatiti (C. Cost. 26.11.2002, n. 476);
4) è costituzionalmente illegittimo l'art. 1 nella parte in cui non prevede che i benefici riconosciuti dalla legge citata spettino anche ai soggetti che presentino danni irreversibili derivanti da epatite contratta a seguito di somministrazione di derivati del sangue. (C. Cost. 06.02.2009, n. 28).
5) è costituzionalmente illegittimo l'articolo 1, comma 1, nella parte in cui non prevede il diritto ad un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, nei confronti di coloro i quali abbiano subìto le conseguenze previste dallo stesso articolo 1, comma 1, a seguito di vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia. (C. Cost. 26.04.2012, n. 107);
6) è costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210, nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, nei confronti di coloro che si siano sottoposti a vaccinazione antinfluenzale (C.Cost. 14.12.2017, n. 268 sentenza)
7) E' costituzionalmente illegittimo l’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto a un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, a favore di chiunque abbia riportato lesioni o infermità, da cui sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione contro il contagio dal virus dell’epatite A (C.Cost. 23.06.2020, n.118, sentenza).
In definitiva, la Corte Costituzionale, soprattutto con le due succitate sentenze nn. 268/2017 e 118/2020, ha stabilito i seguenti principi di diritto.
In presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli.
La Corte Costituzionale ha conseguentemente riconosciuto che, in virtù degli artt. 2, 3 e 32 Cost., è necessaria la traslazione in capo alla collettività, favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che da queste eventualmente conseguano.
La ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non risiede quindi nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio: riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale.
Per questo, la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.: perché sono le esigenze di solidarietà costituzionalmente previste, oltre che la tutela del diritto alla salute del singolo, a richiedere che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio da questi subìto, mentre sarebbe ingiusto consentire che l’individuo danneggiato sopporti il costo del beneficio anche collettivo.
Giova peraltro ribadire che la previsione del diritto all’indennizzo – in conseguenza di patologie in rapporto causale con una vaccinazione obbligatoria o, con le precisazioni svolte, raccomandata – non deriva affatto da valutazioni negative sul grado di affidabilità medico-scientifica della somministrazione di vaccini.
Al contrario, la previsione dell’indennizzo completa il “patto di solidarietà” tra individuo e collettività in tema di tutela della salute e rende più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, al fine della più ampia copertura della popolazione.
Da ultimo, merita sottolineare che non avrebbero rilievo, né in senso contrario all’accoglimento delle questioni sollevate, né in vista di una limitazione della platea dei possibili destinatari dell’indennizzo (attraverso una pronuncia di accoglimento “mirata”), considerazioni relative al carattere meramente regionale (e non nazionale) della campagna vaccinale esaminata, oppure al suo essersi indirizzata prevalentemente nei confronti di una determinata platea di soggetti “a rischio” (selezionati, per quanto qui rileva in particolare, in base all’età).
Nemmeno potrebbe giocare alcun ruolo, ai fini di una ipotetica limitazione dei soggetti cui l’indennizzo deve essere corrisposto, la circostanza, pure messa in luce dal giudice a quo, che la vaccinazione raccomandata in questione, per le classi di soggetti considerati “a rischio”, appartenga alle prestazioni gratuite garantite dal Servizio sanitario nazionale, in quanto ricompresa nei livelli essenziali di assistenza.
In primo luogo, la campagna vaccinale è stata bensì essenzialmente regionale, ma essa ha trovato anche vari riscontri e corrispondenze nei piani vaccinali nazionali (in particolare, di recente, il Piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019), nonché in una specifica raccomandazione del Ministero della salute del 26 luglio 2017 (recante «Aggiornamento delle raccomandazioni di prevenzione e immunoprofilassi in relazione alla epidemia di Epatite A»), atti i quali prescindevano e prescindono da riferimenti territoriali specifici.
In secondo luogo, non ha conseguenze, ai fini qui rilevanti, la circostanza che una campagna informativa e di raccomandazione in favore di un determinato vaccino si indirizzi direttamente verso soggetti considerati “a rischio” (per età, per abitudini, per collocazione geografica).
Da una parte, infatti, quel che conta, è comunque l’affidamento che il singolo, chiunque egli sia (soggetto a rischio o non), ripone nella raccomandazione delle autorità sanitarie, ed è anche a partire da questo suo punto di vista che devono essere delineati i fondamenti della tutela indennitaria.
Dall’altra, la Corte Costituzionale, con le succitate sentenze, ha già osservato che, per quanto direttamente rivolte a determinate categorie di soggetti, le campagne di informazione e sensibilizzazione tese alla copertura vaccinale coinvolgono inevitabilmente la generalità della popolazione, a prescindere da una pregressa e specifica condizione individuale di salute, di età, di lavoro, di comportamenti: giacché l’applicazione del trattamento, anche se in origine pensato soprattutto per determinate classi di soggetti, consente sempre di tutelare sia la salute individuale, sia quella della più ampia collettività, ostacolando il contagio dei soggetti non compresi nelle categorie a rischio e contribuendo in tal modo alla protezione di tutti, anche di coloro che, pur essendo soggetti in modo specifico al rischio, non possono ricorrere alla vaccinazione a causa della propria specifica condizione di salute. In definitiva, la posizione dei soggetti a rischio non elide affatto il rilievo collettivo che la tutela della salute – attuata anche mediante la mera raccomandazione di determinate pratiche vaccinali – assume altresì nei confronti della popolazione in generale.
In terzo luogo, e infine, nemmeno la circostanza che la raccomandazione sia accompagnata dalla gratuità della somministrazione (come accaduto, nel caso di specie, per il vaccino antiepatite A) potrebbe fondare alcuna limitazione soggettiva del novero dei destinatari dell’indennizzo.
Quindi, indipendentemente da previsioni legislative, la Corte Costituzionale, con i succitati principi, ha chiarito che lo Stato, a determinate condizioni mediche, deve sempre risarcire i danni anche se il vaccino Covid – 19 non è obbligatorio.
Avv. Maurizio Villani