Malasanità, cambia l’orientamento giurisprudenziale: il medico di base può sempre rifiutare la visita a domicilio
Irrilevante che il paziente sia gravemente malato e allettato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione
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Non rischia una condanna penale per rifiuto di atti d'ufficio il medico di base che rifiuta la visita a domicilio, anche se il paziente è gravemente malato e allettato. È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 24722 del 21 giugno 2024 della sesta sezione penale, ha respinto il ricorso della Procura di Palermo. Gli Ermellini non hanno aderito alla tesi dell'accusa spiegando che «il medico di base, contrariamente al medico di guardia, non è istituzionalmente preposto a soddisfare le urgenze, le quali rimangono affidate al servizio sanitario di urgenza ed emergenza medica già denominato 118», aggiungendo che «da ciò deriva che per fondare uno specifico obbligo giuridico di prestazioni sanitarie urgente, anche nelle more del servizio di emergenza, da parte di un pubblico ufficiale sanitario a ciò non preposto, sarebbe stata necessaria una peculiare situazione di prossimità spaziale di necessità non indifferibile ben distante dall'ordinarietà degli accadimenti». Per i giudici di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, ha ricordato che “Inoltre, il delitto di rifiuto di atti d'ufficio è integrato dalla condotta del sanitario in servizio di guardia medica che non aderisca alla richiesta di intervento domiciliare urgente nella persuasione a priori della falsità o enfatizzazione dei sintomi denunciati dal paziente, posto che l'esercizio del potere-dovere di valutare la necessità della visita sulla base della sintomatologia esposta, sicuramente spettante al professionista, è comunque sindacabile da parte del giudice al fine di accertare se esso non trasmodi nell'assunzione di deliberazioni ingiustificate ed arbitrarie, scollegate dai basilari elementi di ragionevolezza desumibili dal contesto storico del singolo episodio e dai protocolli sanitari applicabili”.