Orientamento nuovo della Cassazione: niente condanna per spaccio a chi ha scorte di marijuana in casa
Il bilancino di precisione e le 45 dosi non provano la vendita a terzi della sostanza. Avrebbe dovuto rinvenire nell'appartamento altri elementi, come del denaro, ad esempio
Dettagli della notizia
A sdoganare la droga più usata al mondo è la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 26216 del 16 giugno 2023, ha assolto un uomo condannato in appello a oltre un anno di reclusione e 2500 euro di multa, per aver detenuto nel frigo un cartoccio di carta stagnola contenente 45 dosi di marijuana. In sostanza l'accusa, ad avviso degli Ermellini, non può dimostrare la finalità di spaccio solo per la presenza del bilancio di precisione e della scorta e dunque, non può essere condannato per spaccio chi detiene scorte di marijuana in casa: il bilancino di precisione e, in questo caso, le 45 dosi nel frigo non sono sufficienti a dimostrare la vendita della sostanza. Ma non è tutto: il giovane è stato assolto dallo spaccio e anche dalla detenzione illegale. Infatti, si legge nelle motivazioni, ai fini della configurabilità del reato di illecita detenzione di cui all'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la destinazione all'uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità e non è onere dell'imputato darne la prova, gravando invece sulla pubblica accusa l'onere di dimostrare la destinazione allo spaccio. Per i giudici di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Nel caso in esame non è stata in alcun modo provata la finalità di spaccio, mentre la condotta dell’imputato appare compatibile con l’acquisto a uso personale della sostanza stupefacente, anche a mò di scorta. Il dato ponderale della sostanza ha, infatti, solo valore indiziario, e l'impostazione argomentativa dei giudici di merito, nella quale è ravvisabile un erroneo impiego di massime di esperienza, permette di rilevare la mancanza assoluta di prova circa l'esistenza di un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice contestata”. Situazione questa nella quale si impone l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, non essendo riconoscibile alcuna possibilità di ulteriore sviluppo motivazionale, il che rende superfluo lo svolgimento di un giudizio di rinvio. Il ragazzo è stato quindi assolto con formula piena e non dovrà affrontare neppure l'appello bis alla Corte di Appello di Palermo. La Cassazione ha annullato senza rinvio il verdetto di colpevolezza.