Piccoli tribunali chiudono. Il giro d'Italia in 200 tagli: chi rischia e chi spera fra gli uffici giudiziari Le sedi in bilico dopo i tavoli tecnici Ministero-sindacati sulla spending review: 590 magistrati e 5.900 amministrativi da ricollocare

palazzo di giustizia

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Se sul mondo del lavoro si è già abbattuto l’uragano Elsa, intesa come ministro Fornero, le acque invero già agitate del pianeta Giustizia stanno per essere travolte dal ciclone Paola: il guardasigilli Severino sta infatti per tagliare quasi duecento sedi giudiziarie fra le più piccole, per risparmiare 108 milioni l’anno, di cui 80 dalla voce “tribunali” e 28 da quella “uffici del giudice di pace”. È la spending review, bellezza. Che siano a rischio 37 tribunali e 160 sezioni distaccate lo si sapeva da fine marzo, quando ha chiuso i lavori il gruppo di studio degli esperti incaricati da Via Arenula. Ma il documento dei tecnici indica solo criteri statistici e, salvo rare eccezioni, non indica quali uffici sono destinati alla chiusura e quali invece sono autorizzati a sperare (la relazione è qui disponibile come documento correlato, insieme con le statistiche di tutte le sedi con popolazione servita, sopravvenienze giudiziarie e tasso di litigiosità). Attenzione, però: le cose cambiano dopo i tre incontri del tavolo tecnico fra il capo del Dog (dipartimento organizzazione giustizia), Luigi Birritteri, e le rappresentanze sindacali dei lavoratori della giustizia. E se i dirigenti del Ministero non scoprono le loro carte, risulta almeno possibile fare supposizioni e ventilare fondate ipotesi sui progetti dell’amministrazione in base a quanto filtrato dalle riunioni dedicate alla revisione degli uffici nel Centro, nel Nord e nel Sud Italia (protagonisti dei vertici a via Arenula anche i dirigenti ministeriali Fabio Bartolomeo, Emilia Fargnoli e Claudia Pedrelli). E la lista definitiva dei tagli potrebbe essere resa pubblica prima di quanto non si creda. Il numero dei dipendenti astrattamente interessati alla “rivoluzione” in corso è compreso fra 4.600 e 6 mila. E il dicastero annuncia che soppressioni e accorpamenti consentiranno di recuperare 950 magistrati e 5.900 amministrativi nei tribunali e 1.944 toghe onorarie e 2.014 impiegati negli uffici Gdp. Fra le organizzazioni dei lavoratori, intanto, c’è già chi chiede un incentivo ad hoc per la mobilità degli impiegati e una moratoria di un anno sui “tagli”: un incontro sulla questione dei trasferimenti si terrà prestissimo, probabilmente giovedì 10 maggio. E gli impiegati che subiranno la soppressione della sede potranno essere spostati in uffici diversi da quello accorpante, eventualmente anche in posizione soprannumeraria, ma servirà un accordo: Via Arenula avrà pronta una bozza sulla mobilità (che tiene sulle Cgil, Cisl, Uil, Ugl, Flp e gli altri). Mentre la Cgil protesta perché il Ministero nei suoi calcoli usa i dati Istat risalenti al 2001 (i più recenti disponibili), da più parti si chiede di indicare a quanto ammontano i risparmi, in modo da riconvogliarne una quota nel fondo unico d’amministrazione in base all’articolo 16 della legge 111/2011. E per le questioni di diritto intertemporale per il cambio dei tribunali in corsa? L’unico riferimento per gestire i processi futuri è la normativa risalente all’introduzione del giudice unico, il dlgs 51/1998.

Verdetto inappellabile
Va detto in verità che la delega risale all’estate scorsa, è dunque eredità proveniente del precedente guardasigilli Francesco Nitto Palma (la legge 148/11 ha convertito il dl della manovra correttiva di agosto), e che l’attuale ministro Severino si ritrova l’ingrato compito di trasformarla in realtà. Si è infatti da tempo messa in moto la macchina del consenso a colpi di veti incrociati, che va a pieno regime in vista dell’imminente amministrativo, con potentati e amministratori locali in campo per evitare lo “scippo” di una sede, che può significare una sicura sconfitta futura alle elezioni. E per chi mette il «sindacato del territorio» al centro dell’azione politica l’occasione è fin troppo ghiotta. Ma sugli uffici del giudice di pace, fanno sapere intanto da Via Arenula, non c’è più niente da fare: l’elenco delle sedi da sopprimere - si ridurranno a 174 dagli attuali 848 - è già presso le commissioni parlamentari e ormai dovranno essere le Camere a emendarlo eventualmente; scatta il game over per tutti gli uffici con un bacino d’utenza inferiore a 100 mila abitanti mentre la produttività minima per ciascun magistrato onorario è fissata 568,3 procedimenti definiti ogni anno (cfr. “Giudici di pace: ecco la lista dei 674 uffici a rischio soppressione e accorpamento” nell’arretrato del 12 gennaio, sezione Focus). Gli enti locali, intanto, si stanno già dando da fare per non perdere il giudice di prossimità, organizzandosi per fronteggiarne le spese e il Ministero non si opporrebbe a un’eventuale deroga ad hoc per svincolare le amministrazioni dal patto di stabilità. Ma per i tribunali e le sedi distaccate non sarà possibile aprire i cordoni della finanza locale per evitare la soppressione: bisognerà accettare il verdetto. E comunque i sindacati chiedono che prima di abbattere la scure sugli uffici siano considerati fattori importanti come l’eventuale presenza della criminalità organizzata nell’area, la natura orografica della zona, le condizioni dei collegamenti e la situazione logistica, a partire dalla capienza degli immobili. Anche se, di questo passo, sarebbero davvero poche le sedi da poter sacrificare senza alcuna controindicazione. In ogni caso le richieste delle organizzazioni dei lavoratori saranno raccolte in un dossier che finirà sul tavolo del ministro (se non lo è già).

Sopravvissuti e sopravviventi
Il problema è annoso: la geografia giudiziaria risulta ispirata a un modello antiquato, che risale addirittura all’Italia post-unitaria (la legge Rattazzi, 3781/1859) e in molti hanno dovuto rinunciare a riformarla per non scatenare una guerra di campanili fra le cento città della Penisola, in primis Mino Martinazzoli, che fu guardasigilli a metà degli anni Ottanta nel governo Craxi. Ora, però, non c’è più tempo. È stato lo stesso Csm, un paio d’anni fa, a chiedere l’abolizione dei piccoli uffici giudiziari, meno produttivi. Dunque? I tribunali dei capoluoghi di provincia resteranno. E in ogni distretto saranno conservati almeno tre uffici, mentre le mega-sedi delle aree metropolitane come Roma, Napoli, Milano, Torino e Palermo restano comunque ingolfate e vanno razionalizzate. Chi cadrà sotto la mannaia, allora? I tecnici del Ministero indicano la “taglia” di ufficio modello «intangibile» individuata dalla delega: chi sta sopra gli standard si salva, chi sta sotto rischia la soppressione. Quali sono i requisiti? Popolazione media di 363.769 abitanti (contro la media nazionale di 345.606); sopravvenienze totali medie di 18.094 procedimenti (media nazionale 18.623); organico di magistrati pari a 28 unità (media nazionale 31); carico di lavoro annuo compreso fra 638,4 e 647,1 procedimenti definiti per ogni magistrato in un anno. Vediamo allora quali sono i 20 uffici vicini alla salvezza fra i 57 che non afferiscono a città capoluogo: Busto Arsizio serve una popolazione superiore allo standard; Santa Maria Capua Vetere, Torre Annunziata, Velletri, Nola e Tivoli smaltiscono un numero di procedimenti superiore alla media; Palmi ha un organico di magistrati superiore a 28 unità. Si potrebbe, a questo punto, salvaguardare gli uffici che hanno un numero di magistrati compreso fra 21 e 28, che garantiscono standard di produttività nella media, condannando alla soppressione quelli sotto la quota “fisiologica” di 20 togati: ecco allora che sorridono anche Nocera Inferiore, Locri, Marsala, Termini Imerese, Civitavecchia e Cassino. Mentre per la regola del mantenimento di almeno tre degli attuali tribunali del distretto salgono le quotazioni di Gela, Larino, Barcellona Pozzo di Gotto, Patti, Spoleto, Melfi, Vallo della Lucania e Rovereto. Restano 37 da tagliare: rischiano quelli con meno di 20 magistrati, sperano quelli con un organico compreso fra 21 e 28 togati, con una produttività pari a 622 procedimenti definiti in un anno per ogni magistrato. E le sezioni distaccate? Ne saranno soppresse 160 su 220: il responso è frutto della combinazione di due valori-soglia che considerano il bacino di utenza medio e le sopravvenienze degli affari nel quinquennio 2006-2010. Starà poi al ministro valutare se e quando lasciare una sezione distaccata dove si è soppresso un tribunale.

Mari e Monti
Restiamo nel campo delle ipotesi. Anzi, entriamo nelle indiscrezioni vere e proprie, partendo dagli uffici del Centro Italia. Difficile che le forbici del ministro colpiscano i tribunali del distretto di Roma, dopo anni di impegno per decongestionare gli uffici della Capitale. Il capo del Dog Birritteri ha promesso una seria riflessione sulla sezione distaccata di Ostia, che serve un bacino di 300 mila persone ed è molto impegnata sul fronte della mediazione, facendo registrare nel biennio 2010-2011 un decremento delle pendenze pari al 32 per cento: l’ipotesi che circola è l’accorpamento al tribunale di Civitavecchia, come già avvenuto per il territorio di Fiumicino. La speranza si fa strada anche ai Castelli Romani: la sezione distaccata di Albano Laziale risulta ben piazzata nella graduatoria della produttività e dispone di un immobile in comodato gratuito, e dunque a costo zero, mentre l’ufficio eventualmente accorpante, il tribunale di Velletri, non avrebbe spazio. Cassino, che è a cavallo della dead-line dei parametri, ha dalla sua parte il ruolo di presidio della legalità per la contiguità a zone di camorra. Dal Basso Lazio all’Abruzzo il passo è breve: per tutelare le popolazioni vittime del terremoto potrebbe essere rinviato di tre anni l’esercizio della delega relativamente ai tribunali di Avezzano, Lanciano, Sulmona e Vasto, ma il problema dovrà essere esaminato in commissione Affari costituzionali. In Umbria rischia il tribunale di Orvieto. Restando al Centro, le organizzazioni dei lavoratori puntano a salvare gli uffici di San Benedetto del Tronto (Ap) e Pontedera (Pisa), quest’ultima sede di un importante polo industriale. C’è poi la questione degli uffici giudiziari toscani che fanno parte del distretto della Corte di appello di Genova, come il tribunale di Massa, con due sezioni distaccate, di cui una è Pontremoli, molto distante dalla zona sui cui dovrebbe andare gravitare. In Sardegna i tribunali potrebbero evitare la cancellazione perché afferiscono a province regionali, alcune fra l’altro di recente istituzione, idem la sezione distaccata della Maddalena grazie all’insularità.

Duelli e ballottaggi
Altro giro, altra corsa. Otto i tribunali astrattamente sopprimibili in Piemonte, tutti riconducibili al retaggio sabaudo della geografia giudiziaria italiana: in pericolo Acqui Terme, Casale Monferrato, Tortona, Pinerolo, Ivrea, Mondovì, Saluzzo e Alba; la via praticabile pare essere chiusura di alcuni uffici e revisione delle circoscrizioni. E c’è chi è pronto a scommettere che il tribunale di Alba possa evitare “l’abolizione”, mentre secondo altri potrebbe far capo a Saluzzo. Per Tortona si ipotizza un accorpamento a Voghera, per le sezioni distaccate di Chivasso e Ciriè la confluenza nell’ufficio di Ivrea, in modo da salvarlo. Sta per calare il sipario a Sanremo, dove si profila la fusione con Imperia e, restando in Liguria, è in pericolo anche Chiavari, dove tuttavia scalpita il palazzo di Giustizia nuovo, circostanza che lascia supporre almeno il mantenimento di una sezione distaccata. Nel distretto di Brescia l’unico tribunale “candidato” alla chiusura è Crema: non si può escludere il matrimonio con Lodi, vista la minima distanza. Per Legnano, sezione distaccata di recente “esautorata” dal tribunale di Milano, la soluzione sembra l’abbraccio con Busto Arsizio. Nelle zone montane della Lombardia le comunità locali puntano tutte le fiches sulle sezioni di Morbegno, Clusone e Breno, che dalla loro parte hanno la natura impervia del territorio e la difficoltà dei collegamenti. Altrettanto dicasi per il Trentino Alto Adige, dove le quattro sezioni distaccate, tutte nel mirino, curano anche la registrazione di decreti tavolari e le dichiarazioni di appartenenza linguistica e occupano, peraltro, locali di proprietà demaniale. E in zona montuosa si trova anche il tribunale di Tolmezzo, che dalla migrazione a Udine conta almeno di salvare una sezione distaccata: c’è il supercarcere e negli uffici giudiziari opera anche personale della Regione Friuli-Venezia Giulia, a costo zero per Via Arenula. Nel ricco Nordest, tuttavia, i veri problemi sono altri, ad esempio i carichi di lavoro del contenzioso che riguarda le imprese: gli addetti ai lavori si chiedono se gli uffici di Vicenza ce la faranno a sopportare il peso di atti e lavoratori provenienti da Bassano del Grappa. A Venezia c’è ottimismo per la sede di Chioggia, nozze in vista fra Portogruaro e San Donà di Piave. A Treviso pollice verso per Castelfranco e Conegliano, ma una delle due può “sfangarla”. Rovigo non può accogliere Adria: le condizioni strutturali dell’ufficio non lo consentono. In Emilia-Romagna osservate speciali le sezioni di Carpi e Cesena, per l’ampio contenzioso, e Porretta Terme, per il bacino d’utenza proveniente da zone impervie (e l’immobile è di proprietà del ministero, il che non guasta).

Benvenuti al Sud
Sotto il Garigliano le cose si complicano: la pervasività delle mafie esaspera i problemi. Per la Campania sull’agenda del ministro ci sono i tribunali di Sant’Angelo dei Lombardi e di Ariano Irpino: un primo scenario prevede l’accorpamento dell’uno ad Avellino e dell’altro a Benevento, ma un secondo scenario prefigura la fusione dei due con la creazione di un polo per l’alta Irpinia, che non sarebbe sgradito a Via Arenula. Quanto alle sezioni distaccate, nessun problema per Marcianise, Carinola, Aversa, Marano di Napoli, e Pozzuoli; ipotesi-fusione per Afragola, Casoria e Frattamaggiore. Piedimonte Matese può invocare l’handicap-montagna. Salve le isole di Ischia e Capri, impossibile ingolfare ancora le strutture di Napoli. Gragnano e Sorrento verso Castellammare di Stabia. Passiamo al distretto Salerno, dove il tribunale di Sala Consilina potrebbe essere accorpato a quello lucano di Lagonegro, che ha uffici adeguati: il sindaco offre locali dell’ex casa comunale per ospitare personale e fascicoli provenienti dalla Campania (“l’interregionalità” non sarebbe un unicum: il toscano tribunale di Massa, ad esempio, afferisce alla ligure Corte d’appello di Genova). Melfi va verso l’assorbimento da parte di Potenza; in pericolo Pisticci. Veniamo alla Puglia: il tribunale di Lucera ha possibilità di salvezza come baluardo della lotta alla criminalità organizzata. Tra le sezioni distaccate soltanto Barletta supera l’esame: bocciate Andria, Cerignola, Ruvo di Puglia, Grottaglie. A rischio anche Manfredonia e Campi Salentina, l’una competente per le isole Tremiti, l’altra unico presidio del Salento al di là degli uffici di Lecce, mentre quelli di Bari non possono materialmente farsi carico di altri oneri. In Calabria l’allarme ‘ndrangheta e le infrastrutture insufficienti potrebbero salvare i tribunali di Castrovillari, Paola, Rossano e Lamezia Terme. Siderno farà capo a Locri. E al di là dello Stretto? La situazione è molto fluida. Poche speranze per Mistretta, il tribunale più piccolo d’Italia, e per la sezione distaccata di Patti: uffici inadeguati cui è in qualche modo legata la sorte della sede di Sant’Agata di Militello. Nel distretto di Caltanissetta il tribunale Nicosia si potrebbe trasformare in sezione distaccata, mentre in quello di Catania sono a rischio le sedi distaccate di Caltagirone e Modica: per l’una la prospettiva è la fusione con Paternò, per l’altra si ipotizza un tribunale Ragusa-Modica mantenendo le attuali sedi. Due, infine, le criticità nel distretto di Palermo: sono Marsala e Sciacca, con la prima che soffre la vicinanza con Trapani e la seconda che rappresenta una realtà di forte criminalità organizzata e potrebbe essere unita alle sezioni distaccate di Partanna e Corleone. Chi riuscirà a salvarsi dal ciclone Paola? Il tempo stringe: la delega scadrà il 16 settembre. Chi vivrà vedrà.

Fonte: Dario Ferrara cassazione.net 
 

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