Rottamazione e rinuncia al processo:necessaria modifica legislativa

avv. maurizio villani

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L’art. 6 del Decreto legge n. 193 del 22/10/2016, convertito con modificazioni dalla Legge n. 225 dell’01/12/2016 (in G.U. n. 282 del 02/12/2016 – S.O. n. 53 ed entrata in vigore il 03/12/2016) prevede la definizione agevolata (c.d. rottamazione) dei carichi affidati agli agenti della riscossione negli anni dal 2000 al 2016.
I debitori possono estinguere il debito senza corrispondere le sanzioni comprese in tali carichi, gli interessi di mora, gli interessi di dilazione nonché le sanzioni e le somme aggiuntive di cui all’art. 27, comma 1, del D.Lgs. n. 46 del 26/02/1999.
Più nel dettaglio, l’art. 6, comma 2, cit., stabilisce tassativamente che il debitore entro il 31 marzo 2017 deve presentare all’agente della riscossione apposita dichiarazione (Modello DA1):
• indicando il numero di rate nel quale intende effettuare il pagamento, entro il limite massimo di cinque;
• indicando la pendenza dei giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione;
• assumendo l’impegno a rinunciare agli stessi giudizi.
È stato, quindi, consentito l’ingresso alla procedura agevolata anche alle cartelle oggetto di contenzioso tributario: per i carichi ancora in contestazione, il comma 2 dell’art. 6 prevede, infatti, che il debitore, nella dichiarazione di adesione alla definizione agevolata (modulo DA1) indichi, la pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione e assuma l’impegno a rinunciare agli stessi. Più precisamente, l’art.6, co.2, del D.L. n.193/2016 tanto dispone:
“Ai fini della definizione di cui al comma 1, il debitore manifesta all'agente della riscossione la sua volonta' di avvalersene, rendendo, entro il novantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, apposita dichiarazione, con le modalita' e in conformita' alla modulistica che lo stesso agente della riscossione pubblica sul proprio sito internet nel termine massimo di quindici giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto; in tale dichiarazione il debitore indica altresi' il numero di rate nel quale intende effettuare il pagamento, entro il limite massimo previsto dal comma 1, nonche' la pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione, e assume l'impegno a rinunciare agli stessi giudizi”.
In buona sostanza, presentando la dichiarazione di definizione agevolata, il contribuente dovrà rinunciare al contenzioso in corso, di qualsiasi natura e in qualunque grado esso si trovi. Questo rappresenta sicuramente uno degli aspetti più complessi della procedura, poiché a fronte di problematiche variegate, la noma si limita a fornire pochissimi chiarimenti.
Quest’ultima condizione deve, quindi, essere ben chiarita dal legislatore al fine di evitare che il contribuente vada incontro a spiacevoli e gravi “imprevisti” processuali. Bisogna rilevare, infatti, che l’estinzione del processo può avvenire in tre casi:
• per rinuncia (art. 44 D.Lgs. n. 546/92)
Articolo 44 - Estinzione del processo per rinuncia al ricorso.
1. Il processo si estingue per rinuncia al ricorso.
2. Il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti salvo diverso accordo fra loro. La liquidazione e' fatta dal presidente della sezione o dalla commissione con ordinanza non impugnabile, che costituisce titolo esecutivo.
3. La rinuncia non produce effetto se non e' accettata dalle parti costituite che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo.
4. La rinuncia e l'accettazione, ove necessaria, sono sottoscritte dalle parti personalmente o da loro procuratori speciali, nonche', se vi sono, dai rispettivi difensori e si depositano nella segreteria della commissione.
5. Il presidente della sezione o la commissione, se la rinuncia e l'accettazione, ove necessaria, sono regolari, dichiarano l'estinzione del processo. Si applica l'ultimo comma dell'articolo seguente.

• per inattività delle parti (art. 45 D.Lgs. n. 546/92)
Articolo 45 - Estinzione del processo per inattivita' delle parti.
1. Il processo si estingue nei casi in cui le parti alle quali spetta di proseguire, riassumere o integrare il giudizio non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo.
2. Le spese del processo estinto a norma del comma 1 restano a carico delle parti che le hanno anticipate.
3. L'estinzione del processo per inattivita' delle parti e' rilevata anche d'ufficio solo nel grado di giudizio in cui si verifica e rende inefficaci gli atti compiuti.
4. L'estinzione e' dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con sentenza. Avverso il decreto del presidente e' ammesso reclamo alla commissione che provvede a norma dell'art. 28.

• per cessazione della materia del contendere (articoli 46 D.Lgs. n. 546/92)
Articolo 46 - Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere
1.Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge e in ogni altro caso di cessazione della materia del contendere.
2. La cessazione della materia del contendere e' dichiarata, salvo quanto diversamente disposto da singole norme di legge, con decreto del presidente o con sentenza della commissione. Il provvedimento presidenziale e' reclamabile a norma dell'art. 28.
3. Le spese del giudizio estinto a norma del comma 1 restano a carico della parte che le ha anticipate, salvo diverse disposizioni di legge.

Ciò posto, partendo dall’assunto che l’abbandono del contenzioso non è una condizione di accesso alla sanatoria/rottamazione, bensì una conseguenza dell’adesione alla procedura di definizione agevolata, è importante chiarire in questo caso che natura abbia e che conseguenze determini l’impegno a rinunciare al giudizio ex art. 6, co.2, D.L. 193/2016.
Ebbene, dapprima in occasione di Telefisco 2017, poi con il comunicato ufficiale del 08.03.2017 ed infine con la circolare n. 2/E, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che il comma 2 dell’art. 6, non corrisponde strettamente alla rinuncia al ricorso di cui all’art. 44 D.Lgs. n. 546/92, bensì alla cessazione della materia del contendere ex art. 46 D.Lgs. n. 546/92.
L’Amministrazione ha chiarito quanto segue: “Possono essere definiti anche i carichi in contenzioso. A questo proposito, il debitore con la presentazione della dichiarazione di adesione alla procedura si impegna a rinunciare ai giudizi relativi ai carichi che intende definire. Tale impegno non corrisponde tuttavia alla rinuncia al ricorso di cui all’art. 44 del d.lgs. n. 546 del 1997 (codice del processo tributario). Il giudizio si estingue per cessazione della materia del contendere soltanto qualora il carico definito efficacemente - con l’integrale pagamento di quanto dovuto per la definizione agevolata - riguardi l’intera pretesa oggetto di controversia.”. ”
A parere dell’Agenzia delle Entrate, quindi, sembrerebbe che:
- la rottamazione non precluda la prosecuzione del giudizio tributario per le somme non definite in maniera agevolata, in quanto le parti potrebbero avere l’interesse a proseguire la controversia per la frazione della pretesa che non è stata definita;
- ai fini dell’estinzione del giudizio ciò che assume rilevanza sostanziale ed oggettiva è il perfezionamento della definizione agevolata mediante il tempestivo ed integrale versamento del complessivo importo dovuto;
- e che l’impegno assunto dal contribuente corrisponde alla estinzione del giudizio per cessata della materia del contendere di cui all’art. 46 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Ebbene, a parere di chi scrive, tale interpretazione resa dall’Amministrazione finanziaria non è condivisibile.
Come più volte precisato, il comma 2 dell’art. 6 cit., richiede tassativamente l’impegno da parte del debitore a rinunciare ai giudizi pendenti (tributari e previdenziali) che hanno ad oggetto i carichi da rottamare. Questo tipo di rinuncia al ricorso, nel processo tributario, è specificamente disciplinata dall’art. 44 D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992, come ultimamente modificato dall’art. 9, comma 1, lett. p), D.Lgs. n. 156 del 24/09/2015, il quale prevede che:
• il processo si estingue per rinuncia totale al ricorso;
• il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo fra loro;
• la eventuale liquidazione delle spese è fatta dal presidente della sezione o dalla commissione con ordinanza non impugnabile; avverso tale provvedimento è, in ogni caso, ammesso il ricorso straordinario per Cassazione, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione (Cassazione Civile, sentenze n. 481 del 15/01/2003; n. 11768 del 06/08/2002; n. 10306 del 04/08/2000);
• la rinuncia non produce effetti se non è accettata dalle sole parti costituite che abbiano effettivo interesse alla prosecuzione del processo;
• la rinuncia e l’accettazione, ove necessaria, devono essere sottoscritte dalle parti personalmente o da loro procuratori speciali, nonché, se vi sono, dai rispettivi difensori e si devono depositare nella segreteria della commissione tributaria;
• in ogni caso, è ammissibile la dichiarazione di rinuncia effettuata, anziché in forma scritta, nella forma della dichiarazione “a verbale” durante l’udienza, trattandosi di un atto pubblico (Cassazione sentenze n. 6039 del 25/03/2004; n. 5270 del 15/03/2004; n. 10215 del 27/06/2003);
• il presidente della sezione o la commissione, se la rinuncia e l’accettazione, ove necessaria, sono regolari, dichiarano l’estinzione totale del processo;
• l’estinzione totale del processo è dichiarata dal presidente della sezione con decreto o dalla commissione con sentenza;
• in caso di rinuncia, quindi, si hanno due distinti provvedimenti, uno che determina l’estinzione totale del processo e l’altro che eventualmente dispone sulle spese;
• avverso il decreto del presidente è ammesso reclamo alla commissione, che provvede a norma dell’art. 28 D.Lgs. n. 546 citato, mentre la sentenza è impugnabile nei modi ordinari.
Inoltre, in conseguenza all’estinzione per rinuncia:
- in primo grado l’atto impugnato diventa definitivo;
- nei gradi successivi, passa in giudicato la sentenza impugnata;
- la rinuncia in sede di giudizio di rinvio, dopo una pronuncia della Cassazione, travolge tutte le sentenze rese nel processo, ai sensi dell’art. 63 D.Lgs. n. 546 citato.
Pertanto, la rinuncia al ricorso (art. 44 D.Lgs. n. 546 cit.) si differenzia processualmente dalla cessazione della materia del contendere (art. 46 D.Lgs. n. 546 cit.), perché mentre in caso di rinuncia il processo si estingue integralmente facendo rivivere l’atto di accertamento (art. 44, comma 1, cit.), nel caso di C.M.C. l’estinzione del giudizio può essere totale o parziale (art. 46, comma 1, cit.).
Premesso che le circolari ministeriali non vincolano i giudici tributari (oltretutto Telefisco non può certo qualificarsi una circolare ministeriale), c’è da registrare un recente intervento della Corte di Cassazione – Sez. Tributaria Civile –che, con la sentenza n. 3347 del 08 febbraio 2017, (condividendo quanto già affermato dalla Corte di Cassazione – Sez. Prima – con la sentenza n. 2463 del 19/06/1975) ha delineato i requisiti necessari affinché si possa parlare di “rinuncia all’impugnazione”. Secondo la Corte: “Costituisce principio generale nel diritto tributario che non si possa attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente d’essere tenuto al pagamento di un tributo e contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateizzazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario.
Siffatto riconoscimento esula, infatti, da tale procedura, regolata rigidamente e inderogabilmente dalla legge, la quale non ammette che l’obbligazione tributaria trovi la sua base nella volontà del contribuente.
Le manifestazioni di volontà del contribuente, pertanto, quando non esprimano una chiara rinunzia al diritto di contestare l’an debeatur, debbono ritenersi giuridicamente rilevanti solo per ciò che concerne il quantum debeatur, nel senso di vincolare il contribuente ai dati a tal fine forniti o accettati.
Ciò non esclude che il contribuente possa validamente rinunciare a contestare la pretesa del fisco, ma, perché tale forma di acquiescenza si verifichi, è necessario il concorso dei requisiti indispensabili per la configurazione di una rinuncia, e cioè:
1) che una controversia tra contribuente e fisco sia già nata e risulti chiaramente nei suoi termini di diritto o, almeno, sia determinabile oggettivamente in base agli atti del procedimento;
2) che la rinuncia del contribuente sia manifestata con una dichiarazione espressa o con un comportamento sintomatico particolare, purché entrambi assolutamente inequivoci”.
In sostanza, secondo il chiaro insegnamento della Corte di Cassazione, una volta che il contribuente rinuncia espressamente al giudizio con le modalità sopra esposte, automaticamente, si estingue il giudizio stesso ai sensi e per gli effetti dell’art. 44 D.Lgs. 546/92, anche perché nel processo tributario non è ammessa la rinuncia parziale (salvo le ipotesi particolari previste dagli artt. 46, comma primo, e 48-bis, comma primo, D.Lgs. n. 546 cit.).
Pertanto, a parere dello scrivente, con la procedura di definizione agevolata, così come disciplinata, il debitore non rinuncia ai soli atti del processo, ma all’intera azione con le conseguenze processuali di cui all’art. 44 cit..
Ma vi è di più.
Con l’ordinanza n.5497 del 03.03.2017 la Corte di Cassazione è intervenuta sull’argomento chiarendo:
• da un lato, che il deposito della domanda di definizione agevolata dei ruoli ex art. 6 del D.L. 193/2016 è in grado di “risolvere” il contenzioso pendente non essendo richiesto il perfezionamento della definizione medesima;
• dall’altro, che con la semplice presentazione della domanda si estingue il processo con la conseguente compensazione delle spese in base all'articolo 92 del Codice di procedura civile.
Più nel dettaglio, la controversia in questione ha avuto ad oggetto un contribuente a cui era stata notificata, in merito al 2006, una rettifica in aumento del relativo reddito, scaturente dall'acquisto di un'autovettura. Poiché le Commissioni tributarie adite avevano respinto le richieste provenienti dal contribuente, quest’ultimo aveva deciso di ricorrere dinanzi alla Suprema Corte. Tuttavia, in prossimità della data fissata per l'udienza presso la Cassazione, il ricorrente ha comunicato ai giudici che, nel corso del dicembre 2016, aveva depositato la dichiarazione di adesione alla definizione agevolata nelle modalità e nei termini disciplinati dal D.L. n.193/2016, asserendo contestualmente di non aver più alcun interesse alla coltivazione del contenzioso essendo venuta meno la ragione del contendere.
La Suprema Corte, prendendo atto di quanto sopra, ha dichiarato l’estinzione del giudizio e ritenuto sussistenti le ragioni necessarie per disporre la compensazione delle spese, in base all'articolo 92 del Codice di procedura civile.
Orbene, è evidente come i giudici di legittimità in questo modo abbiano preso le distanze da quanto affermato dall'Agenzia delle Entrate nel corso di Telefisco e nella circolare 2/E/2017.
Secondo l’Amministrazione, infatti, “ciò che assume rilevanza sostanziale ed oggettiva è il perfezionamento della definizione agevolata mediante il tempestivo ed integrale versamento del complessivo importo dovuto. La definizione rileva negli eventuali giudizi pendenti in cui sono parti l'agente della riscossione o l'ente creditore o entrambi facendo cessare integralmente la materia del contendere qualora il carico definito riguardi l'intera pretesa oggetto di controversia” e, pertanto, l'impegno a rinunciare ai giudizi non corrisponderebbe strettamente alla rinuncia al ricorso di cui all'articolo 44 del Dlgs 546/1992 (estinzione del processo per rinuncia al ricorso).
Ma, in base all’ordinanza 03 marzo 2017 n.5497, così non è.
È evidente, invero, come la Corte abbia sancito il concetto in base al quale il “semplice” deposito del modulo DA1 ex art. 6 cit. sia di per sé sufficiente a determinare l’estinzione ex art. 44 cit. (con compensazione delle spese) del contenzioso pendente, non essendo, pertanto, necessario il perfezionamento della definizione medesima (domanda e pagamento integrale).
Pertanto, alla luce delle valutazioni fin qui svolte, può certamente ritenersi che ad oggi molte sono le incongruenze e le difficoltà che si possono riscontrare all’interno della procedura di rottamazione in esame.
Con l’attuale testo normativo, infatti, la rinuncia a cui fa riferimento il legislatore, è da ricondursi senza dubbio all’estinzione integrale del procedimento ex art.44 D.Lgs. 546/92 e non già alla mera cessazione della materia del contendere ex art. 46 cit., così come anche implicitamente chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n.5497 del 03.03.2017.
Pertanto, alla luce di quanto emerso e in base alla pronuncia della Cassazione n.5497 del 03.03.2017, indipendentemente dalle richieste di parte, i giudici in ipotesi di presentazione del modulo DA1, non potranno che dichiarare l’estinzione del processo ex art. 44 cit..
Se si intende, quindi, realmente consentire al contribuente di “beneficiare” degli effetti e delle conseguenze connesse alla estinzione del giudizio per cessata materia del contendere (come sostenuto dall’Agenzia delle Entrate) è necessario che si modifichi il testo de quo nei seguenti termini:

“In tale dichiarazione il debitore indica altresì il numero di rate nel quale intende effettuare il pagamento, entro il limite massimo previsto dal comma 1, nonché le pendenze di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione, e assume l’impegno a far dichiarare la cessazione della materia del contendere, totale o parziale, con compensazione delle spese, totale o parziale, ai sensi dell’articolo 46 decreto legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992 e successive modifiche ed integrazioni. Se la definizione agevolata è parziale, la commissione dichiara con ordinanza la cessazione parziale della materia del contendere e procede alla ulteriore trattazione della causa”.

Solo in quest’ultima ipotesi si potrà, infatti, ritenere realmente estinto il contenzioso per C.M.C e solo in questo modo si potrà dare certezza e serenità al contribuente (che potrà, ad esempio, continuare il processo relativamente alle parti di debito non definite con la rottamazione).
Invero, siamo al cospetto di una sanatoria che se da un lato, può rappresentare una chance per il contribuente/debitore; dall’altro, lo induce a correre dei rischi molto elevati e a fare delle scelte (come rinunciare ai giudizi in corso) notevolmente pericolose per la propria posizione fiscale, patrimoniale e processuale.
Pertanto, indipendentemente da eventuali chiarimenti ministeriali, che comunque non possono modificare la legge, né vincolare i giudici, si auspica che in occasione del voto del prossimo decreto legge (tutt’ora in cantiere e avente ad oggetto la possibile proroga - dal 31 marzo al 21 aprile - del termine ultimo per il deposito del modulo DA1) vi sia un intervento da parte del legislatore finalizzato a definire più correttamente i contorni della rinuncia ai giudizi pendenti di cui all’art. 6, co.2, D.L. 193/2016.
Avv. Maurizio Villani
Avv. Federica Attanasi
 

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