Salute. Prendi sonniferi? Attento al morbo di Alzheimer. Lo dice un nuovo studio franco-canadese
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L'uso a lungo termine di sonniferi e alcuni farmaci contro l'ansia aumentano il rischio di sviluppare il temibile e diffuso morbo di Alzheimer.
Milioni di italiani assumono costantemente ansiolitici o sonniferi. Tuttavia, questi farmaci hanno effetti collaterali, soprattutto nelle persone anziane. Uno studio pubblicato ieri 10 settembre nel British Medical Journal e condotto da ricercatori presso l'Università di Bordeaux e Inserm, punta il dito in effetti il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer.
Per sei anni, i ricercatori franco-canadesi hanno studiato 1.796 casi di Alzheimer elencati in un programma di assicurazione medica canadese. Hanno poi confrontato più di 7.000 persone sane della stessa età e sesso.
Qual è stata la conclusione? Sei studi avevano già abbozzato un legame tra il consumo di sonniferi o tranquillanti, e il morbo di Alzheimer. Questo nuovo studio conferma questi risultati: l'uso per più di tre mesi, di farmaci benzodiazepine è associato ad un aumento del 51% del rapporto di rischio del morbo di Alzheimer.
E più il consumo è maggiore e più il rischio è significativo. Potrebbe aumentare del 70 al 80% con l'uso per più di sei mesi. Un risultato preoccupante, dato che il trattamento in Francia dura quattro o cinque mesi invece dei tre massimi raccomandata. E questo senza contare tutti i pazienti che ingoiano questi farmaci ogni giorno per anni.
Diversi paesi hanno già messo in guardia contro l'uso di benzodiazepine, soprattutto negli anziani, a causa di effetti collaterali cognitivi. Questo è il caso della Francia, dove l'agenzia governativa ANSM ha criticato a gennaio scorso l'utilizzo frequente per trattamenti troppo lunghi.
Per limitare l'uso di pillole della famiglia delle benzodiazepine, l'Alta Autorità per la Salute (HAS) d'Oltralpe ha raccomandato nel mese di luglio di ridurre il loro rimborso da parte dello stato dal 65% attuale al 15% nel futuro.
I ricercatori dicono da parte loro che questi farmaci rimangono comunque utili per alcuni pazienti se tuttavia rispettano le condizioni di utilizzo e soprattutto le dosi e la durata del trattamento.
Misure che probabilmente dovranno essere prese anche in Italia, evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, dove secondo alcuni studi ne fa un uso regolare un italiano su dieci. Porre un freno a questo fenomeno dilagante anche nel Nostro Paese potrebbe avere effetti benefici su coloro che rappresentano la Terza Età del futuro e quindi, in prospettiva, sul nostro sistema di Welfare.