Sicurezza alimentare: biossido di titanio colorante presente in alcuni prodotti sia alimentari che cosmetici.
Le prove sui rischi per la salute sono contrastanti. Uno studio dice che a rischio sono i bambini, ma le industrie alimentari potrebbero sostituirlo con additivi naturali
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Lo avremo letto di sfuggita sulla confezione di qualche prodotto alimentare come un’innocua sigla, la E171, un additivo, colorante per meglio dire, che in realtà ha un nome chimico che ricorda un metallo. Si tratta del biossido di titanio (TiO2).
Il Biossido di titanio, in inglese “Titanium Dioxide”, è un minerale naturale utilizzato principalmente come pigmento bianco. È rinvenibile sotto forma di polvere bianca amorfa. Tale polvere possiede un elevato indice di rifrazione ed è in grado di assorbire, riflettere e disperdere la luce solare. Per questo motivo, è uno filtri fisici più utilizzati nei prodotti solari anche perché è in grado di consentire protezione sia nei confronti dei raggi UVA (anche se è meno efficace tra 350 e 400 nm) che UVB.
Non solo per i cosmetici (come detto i filtri solari), ma il biossido di titanio è usato principalmente nell’industria delle vernici; ma lo si può rinvenire in molteplici altri prodotti che sono a contatto diretto con l’uomo e tra questi quelli per l’igiene personale (dentifrici), e per l’appunto, anche in molti alimenti.
Da tempo, non pochi anche nell’ambiente scientifico hanno sollevato dubbi sulla sicurezza del biossido di titanio in forma di nanoparticelle, soprattutto per il rischio che tali infinitesime parti di minerale possano penetrare nell’organismo attraverso la pelle provocando danni cosiddetti “da accumulo”. Ad oggi, studi di approfondimento di questi aspetti sono in corso e in attesa di verifiche.
Ora rimarremmo ancora nel dubbio, visto che viene utilizzato da anni nell’industria alimentare senza che ne venissero acclarate conseguenze pregiudizievoli per la salute, ma una recente indagine pubblicata sulla rivista ACS, pubblicazione scientifica che si occupa del mondo delle nanotecnologie, ha rivelato che i bambini sarebbero più esposti alle nanoparticelle di biossido di titanio presenti in molti tipi di caramelle, solitamente consumate molto più dai più piccoli che non da adulti.
L’indagine scientifica di cui parlavamo costituisce il primo studio serio sulla presenza dei nanomateriali di biossido di titanio - causa di preoccupazione per ciò che concerne il loro potenziale impatto sulla salute e sull&\#39;ambiente in particolare dei suoi composti usati in forma nanometrica (nano TiO2) – relativamente ad una vasta gamma di beni di consumo.
L’equipe che ha svolto lo studio, partendo per l’appunto dal presupposto della presenza del biossido di titanio in moltissimi prodotti di consumo - molti dei quali oggetto dell’analisi in questione - ha precisato che l&\#39;organismo elimina le nanoparticelle attraverso le feci e l&\#39;urina e che queste confluendo quindi agli impianti di trattamento delle acque reflue arrivano nei laghi, nei fiumi e quindi nel mare.
Gli studiosi hanno sottolineato come l&\#39;utilizzo alimentare di quest’additivo debba essere monitorato perché queste particelle fanno il loro ingresso senza alcun filtro nell&\#39;ambiente e costituiscono un rischio potenziale per gli esseri umani e gli animali.
Una delle conclusioni più eclatanti cui è giunta la ricerca è che i bambini consumano quantità di biossido di titanio più elevate degli adulti, perché dolci come caramelle, marshmallows e le glasse sono tra i prodotti con le più alte concentrazioni di questa sostanza.
Continuando a focalizzare la nostra attenzione sul settore dolciario, è corretto rilevare per non destare pericolosi allarmismi, che l’utilizzo del minerale come colorante (definito naturale) è finalizzato a dare ai prodotti di confetteria e alle creme al latte un piacevole color bianco, che al contrario sarebbe impossibile ottenere con il solo uso degli ingredienti primari come latte, zucchero, panna.
Se è vero, quindi, che non ci sono dati, né studi specifici che confermino o meno effetti dannosi sulla salute umana, tant’è che né l’Unione Europea né in precedenza i singoli stati membri avevano regolamentato l’utilizzo, per esempio, stabilendo dosi massime consigliate, ciò nondimeno per Giovanni D&\#39;Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, le industrie alimentari potrebbero attuare il “principio di precauzione” come definito nel regolamento europeo 178/2002, sostituendo il colorante in questione e utilizzando ingredienti veramente naturali, rinunciando un po’ all’aspetto estetico per eliminare ogni dubbio circa qualsiasi livello potenziale di rischio per la salute che oggi comunque permane.