“Stress lavorativo”. In Giappone arriva la blacklist delle aziende che pretendono troppo dopo l'esplosione della piaga dei suicidi. Gogna mediatica istituzionale a tutela dei lavoratori
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Lo "stress da lavoro" è un fenomeno diffuso a livello globale e che non conosce frontiere. Una conseguenza del raggiungimento di livelli eccessivi è troppo spesso l'aumento dei suicidi di lavoratori dipendenti o collaboratori. Per far fronte a questa piaga, in Giappone, è stato il governo a prendere un'iniziativa che ha immediatamente aperto un ampio dibattito: è stata proposta e realizzata la prima lista nera delle aziende che viene aggiornata mensilmente, e che conta ad oggi 334 nomi d'imprese che avrebbero già violato le leggi su orari settimanali e straordinari. Sinora le istituzioni del Paese del Sol Levante avevano soprasseduto sul fenomeno e i suoi risvolti preoccupanti, ma il clamore crescente all'estero ha però spinto il governo centrale in “prima persona” a intervenire in questo modo. Ma si sà i giapponesi ci tengono alla propria reputazione nel mondo, anche più delle inevitabili rimostranze dei propri imprenditori. La ragione di questa scelta ardita starebbe nelle statistiche più recenti del cosiddetto "karoshi", che corrisponderebbe al rischio di «lavorare fino alla morte», e che riguarderebbe ben un dipendente su cinque: da qui la necessità di adottare con urgenza misure dissuasive, come la gogna mediatica nel Paese dove l'apparenza è un valore. La black list che si trova online, come detto, sarà aggiornata mensilmente e la soluzione per non comparire nell'elenco è tanto semplice quanto ovvia: basta comportarsi legalmente. Nell'iniziativa istituzionale non vi è però solo volontà punitiva, ma anche un implicito spirito di rilancio dell'economia e un indiretto stimolo diffuso della responsabilità sociale: un impegno professionale più equilibrato nella durata dovrebbe consentire alle donne maggiore agio nella gestione della famiglia, agli uomini di essere più presenti e attivi nell'educazione dei figli. Un'idea drastica e che – per Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” - nel Nostro Paese solleverebbe l'immediata reazione e le barricate dei poteri economici e delle lobby dell'industria e della finanza, se solo si pensasse di importarla. Ma non dobbiamo dimenticare che anche l'Italia non è immune dalla piaga dello “stress da lavoro” per la quale i governi succedutisi in questi ultimi vent'anni non hanno fatto nulla ed anzi addirittura le hanno dato un contributo costante attraverso la demolizione progressiva dei diritti acquisiti dai lavoratori che oggi sono senza ombra di dubbio più esposti al fenomeno. Si troverebbe il coraggio di replicarla anche da Noi?