Usavano piccioni vivi come esca: condannati pescatori

Per la Cassazione una vera sevizia l’imbragatura all’amo del volatile, che rischia l’affogamento a ogni lancio della lenza: irrilevante, date le sofferenze inflitte, che il columbide sia «preda naturale» del grosso pesce di fiume

Usavano piccioni vivi come esca: condannati pescatori

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E' reato di maltrattamenti se il pescatore sportivo usa come esca per il grosso pesce un volatile vivo catapultandolo di continuo in acqua come richiamo, sottoponendolo a crudeltà e sevizie. Lo ha stabilito la Cassazione che, con la sentenza n. 17691/19, pubblicata oggi dalla terza sezione penale, che condannando alcuni pescatori professionisti, rigetta il loro ricorso condannandoli a pagare 4 mila euro di multa per aver maltrattato dei volatili.Alla base della contestazione, l’utilizzo di piccioni vivi come esca per attirare un grosso pesce di fiume, il pesce siluro, appesi per una zampetta all’amo, provocandone poi la morte. Il collegio ritiene che le condotte degli imputati meritino di essere punite. È vero che i pescatori che praticano tale attività con la canna impiegano come esca vermi vivi, «ma a prescindere dal fatto che si tratta di larve tra le più usate, i bigattini o le camole, il loro utilizzo a tal fine non si presta in ogni caso a recar loro sofferenze». Del tutto diverso è l’impiego di volatili «legati per una zampetta all’amo e costretti a seguire il volo della lenza fino a venire ripetutamente catapultati nel fiume quale richiami per la cattura del pesce siluro che, a detta della difesa, di tali uccelli si nutre». È «evidente» come non solo le condizioni di cattività a cui questi animali sono stati esposti con l’imbracatura alla lenza, «ma altresì l’attentato alla loro stessa sopravvivenza con gli affogamenti ripetuti nell’acqua si configuri come una vera e propria sevizia, atta a provocare agli uccelli, gravi sofferenze». Sostenere, così come fa la difesa, che i piccioni siano «prede naturali del pesce siluro», è argomento «che elude la ratio della norma in contestazione, come se fosse la natura di preda a determinare la legittimità del suo utilizzo, e in ultima analisi del suo “sacrificio”, per finalità assolutamente non necessarie rispetto allo scopo dell’attività amatoriale praticata che preveda la cattura del predatore». La Corte d’appello, ha basato correttamente la sua decisione sulla considerazione che le condotte degli imputati hanno determinato «rilevanti sofferenze», senza il requisito della necessità. La pesca, e anche quella del pesce siluro, si può comunque praticare con le esche di uso comune, animaletti o pezzetti di carne o di altri organi animali, sostanze diverse o anche oggetti luccicanti, senza che ci sia l’esigenza di fare ricorso ai piccioni, che di certo, «non facendo parte del suo naturale habitat, non costituiscono le uniche prede di un animale ricompreso nella categoria dei pesci, sia pure di acqua dolce e che invece sono stati in tal modo sottoposti a condizioni insopportabili per le loro attitudini etologiche». Seviziare piccioni vivi per pescare il Silur, ello, osserva Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è un’idea piuttosto bislacca, ma soprattutto crudele. Integra il reato di maltrattamento di animali, con l’aggravante della morte (art. 544 ter cod. pen.). Non c’è davvero limite alla stupidità umana.

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